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ANTOLOGIA FIRDUSIANA


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ANTOLOGIA FIRDUSIANA

CON UN COMPENDIO DI GRAMMATICA PERSIANA

E UN VOCABOLARIO

Dott. Pror. ITALO PIZZI

_
DELLA R. UNIVERSITÀ DI TORINO.

2% EDIZIONE CON L'AGGIUNTA DELLE CORREZIONI.

LIPSIA
WOLFGANG GERHARD, EDITORE

1891.

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Edizione comune

Edizione in carta velina di questa medesima opera
Edizione di lusso su carta d’Olanda (edizione di 10 soli

esemplari numerati)

Edizione legata in pergamena



Tutti i diritti riservati.

zz

12.
15.

20.
30.
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AL

PROFESSORE FAUSTO LASINIO

IN SEGNO

: DI MOLTA RICONOSCENZA


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PREFAZIONE

Dopo tante grammatiche e antologie della lingua
persiana, molte delle quali buone sotto ogni rispetto e di grande utilità allo studioso, parrebbe
superfluo ed inutile il comporre una grammatica di questa

stessa lingua e il mettere insieme un’ antologia corre-
dandola di un vocabolario, se chi ora manda fuori il pre-
sente Manuale non avesse avuto nel comporlo un parti-
colare e speciale scopo. Senza di che, anche per la
estrema semplicità della grammatica persiana per cui
ogni libro, più o meno, può servire allo studioso, egli
non vi si sarebbe provato nemmeno per ombra.
L’autore del presente libro è partito da un’ idea del
Prof. Spiegel, per la quale, se egli non s’inganna, ha
potuto dare al suo Manuale un aspetto e un indirizzo
differente da quello dei libri fin qui pubblicati. Il dotto
Professore di Erlangen, tanto benemerito degli studi
iranici, nelle opere sue ha sempre avuto l'intento, come
egli stesso dice (Arische Studten, p. 110), di dimostrare
l'unità delle idee che ispirano e informano tutta quanta
la Letteratura iranica in tutti i diversi tempi della lunga
sua vita. Cosicchè per lui dall’ Avesta e dalle Iscrizioni


<pb n="VII"/>

degli Achemenidi in parte, alla letteratura pehlevica del
tempo dei Sassanidi, dal tempo dei Sassanidi all’ epopea
di Firdusi, da Firdusi alla posteriore letteratura dei Pârsi, è
un solo cammino di idee, è una sola mitologia e una sola
religione e una sola leggenda epica, che si vanno svolgendo
e conservando con una tenacità e un vigore di vita non
comuni.
</p><p>
Seguendo questa idea, si vede ben tosto sotto quale
punto di vista debba riguardarsi l'epopea di Firdusi ri-
spetto alla letteratura posteriore, tutta maomettana e infil-
trata d’arabo, non tanto nella lingua quanto nelle idee
religiose e morali. Finora il Libro dei Re di Firdusi si
è voluto considerare come il principio della nuova lette-
ratura persiana; per me invece esso è l'ultimo portato
della vera letteratura iranica, chiude per sempre il ciclo
meraviglioso delle leggende eroiche, per dar posto ad
un’ altra letteratura ben diversa di idee e di intenti. Ora,
quasi tutte le Grammatiche e le Antologie della lingua
persiana che fino ad oggi si sono compilate, non tengono
conto diquesta profonda differenza e mettono insieme il
Libro dei Re con le poesie mistiche di Saadi e di Hâfiz, coi
racconti di Gami e le favole di Husseyn Và'iz, con le
storie di Mirkhondi e le poesie di Khàkàni, scrittori e
poeti che hanno veramente il loro pregio, ma nulla però
hanno a che fare col Libro dei Re, dal quale li separa imme-
diatamente una rivoluzione religiosa e un mutamento pro-
fondo di idee. Cosicchè coteste Antologie mi sembrano
fatte al modo di quell’ Antologia di Scrittori Latini, nella
quale l’autore avesse messi insieme alcuni brani di Lu-
crezio, di Virgilio, di Livio e di Cicerone accanto ad
altri presi dalle opere di Sant’ Agostino e di San Girolamo.


<pb n="IX"/>


Si badi bene che io non dico già questo per dir
male di quelle Antologie, alcune delle quali sono utilissime,
come quella del Dott. M. Schultze (Handbuch der Persischen Sprache, Elbing, 1863), di cui mi sono valso nel
principio dei miei studi. Ma l’intendimento mio è solo
quello di mostrare sotto quale aspetto, sopra le orme
dello Spiegel, io consideri l'epopea di Firdusi, rispetto
alla letteratura posteriore da una parte e all’ anteriore
dall’ altra e con qual fine tutto speciale e particolare io
abbia composto il presente libro. Io ho voluto comporre
soltanto un Manuale Iranico, se così posso chiamarlo,
nel più stretto senso, nel senso nel quale lo chiamerebbe
anche il Professore Spiegel, riguardando il persiano
moderno e l'epopea di Firdusi come il primo passo per
conoscere l'antica letteratura iranica, come il punto di
partenza per salire al pârsi e al pehlevi e per giungere
finalmente all’ Avesta, come al punto più alto e più
difficile da raggiungere, tenendo così la via la più natu-
rale e la più utile negli studi, di salire dal facile al meno
facile, dal più noto al meno noto. La letteratura per-
siana posteriore (fatta eccezione degli scritti dei Pârsi) è
maomettana, di molta importanza, nè io lo nego, ma di
una importanza ben differente; essa potrà giovare a chi
vuol conoscere la storia del Maomettanesimo e le vicende
dei Principati maomettani in Persia, più che a chi voglia
addentrarsi nei misteri dell’ antica religione iranica e
intenderne il codice sacro e conoscere lo spirito vitale
che l'anima e l'informa. Leggete le storie di Mirkhondi,
e non troverete nulla, quasi nulla, che ricordi l'antica
religione nazionale e quella meravigliosa leggenda epica
nella quale sta scolpita l'immagine di quel gran popolo


<pb n="X"/>


operoso e guerriero; e la storia degli antichi re leggendari
di Persia, pure di Mirkhondi, ha ben poco valore come
fonte di notizie rispetto al Libro dei Re. Leggete le
poesie di Hâfiz o di Saadi e vi troverete una esuberanza
di idee maomettane, di ricordi di eroi dell’ Islamismo, in
mezzo ai quali compaiono talvolta gli antichi re leggen-
dari dell’ Iran, Gemshid o Minôcihr o qualche altro, come
figure sbiadite e offuscate, che producono in chi legge
quel disgusto speciale e indefinibile che si sente nel
leggere uno scrittore moderno che, così per uso, invochi
la Musa e parli delle Ninfe o dei Satiri, di Giove e di
Giunone, quantunque egli non vi creda più e con lui non
vi creda nessuno de’ suoi lettori.
</p><p>
Dietro questi principî adunque ho io composto il
mio Manuale. Il quale differisce da tutti gli altri libri
del genere per lo scopo e per i materiali adoperati; per
lo scopo, perchè, e già l'ho detto, esso deve servire
come punto di partenza per salire allo studio della lette-
ratura pehlevica e dell’ Avesta, deve porgere, a guisa
di una piccola enciclopedia persiana, tutte quelle fonda-
mentali cognizioni di lingua, di religione, di mitologia, di
costumi, di leggende di eroi, che poi lo studioso incon-
trerà nuovamente, e sotto lo stesso aspetto, nel Bundehesh
e nel Mînôkhired e nell’ Avesta in fine, e che vedrà
ampiamente svolte nelle opere. dello Spiegel, del Win-
dischmann, del Kossowicz, del Justi e dell’ Harlez. Diffe-
risce poi per i materiali, perchè, senza disprezzare la
letteratura posteriore, la lascia da parte siccome tale che
non conduce al suo scopo. Se poi io sia riuscito nel mio
intento, non lo so; giudicheranno i dotti, al giudizio dei
quali con reverenza e trepidazione sottopongo il mio lavoro.


<pb n="XI"/>


Ed ora veniamo a parlarne più in particolare.

La Grammatica contiene, se non m'inganno, quanto
è necessario per dare una sufficiente cognizione del per-
siano, molto semplice, come ognuno sa, e relativamente
anche molto facile ad apprendere; e nella maggior parte
ho seguito le altre Grammatiche. La differenza maggiore
sta nella divisione dei verbi. Ho trattato prima il tema
di presente, quindi il tema del passato, determinato da
un t (d), e in questo ho fatto due classi di verbi, divi-
dendoli in quelli che uniscono <emph>mediatamente</emph> il t (d) del
passato al tema del presente (p. e. <f>purs</f>, e <f>purs-î-d-am</f>),
e in quelli che lo uniscono <emph>immediatamente</emph> (p. e. <f>afrûz</f>,
e <f>afrûkh-t-am</f>); e qui, per i vari mutamenti delle conso-
nanti, venivano richiamate le regole fonetiche poste in
principio della Grammatica. Per quanto io mi sappia,
non conosco che altri abbia tentata una simile divisione,
per la quale quei verbi che prima erano trattati come
irregolari, trovano ora la loro spiegazione e la loro regola.
I dotti giudicheranno se io abbia colto o no nel segno<ref n="1"/>.

<note n="1">Per avere un’ idea del modo con cui si trattavano i verbi così detti
irregolari, si vegga la Grammatica del WILKEN (Lipsiae, 1809), Egli dice che i
più dei verbi difettivi (<lat>defectivi</lat>) che escono all’ inf. in <f>ûdan</f>, formano l’imperat.
da un inf. in <f>âyîdan</f>; così <f>farmûdan</f> fa all’ imperat. <f>farmây</f>, ma questo non
viene da <f>farmûdan</f>, bensì da un <f>farmâyîdan</f> (?!) che non esiste. Egli divide i
verbi irregolari in 7. classi (pag. 72), secondo le terminazioni dell’ inf., in <f>ûdan</f>,
<f>ftan</f>, <f>khtan</f>, <f>shtan</f>, <f>stan</f>, <f>îdan</f>, <f>âyîdan</f>, e non s’accorge intanto ch’ egli mette nella
terminazione dell’ inf. una parte che appartiene alla radice. Infatti, secondo il W.,
il v. <f>tâftan</f>, p. e., è della 2a cl. perchè in <f>ftan</f>, ma la f di <f>ftan</f> appartiene alla
radice e non alla desinenza, cfr. pres. <f>tâb-am</f>, z. e skr. <skr>tap</skr>, lat. <lat>tep-eo</tap>. E basti
questo saggio. Il Jones (ed. franc. di GARCIN DE TASSY, p. 66) dice che molti
verbi persiani formano il loro imperat. da infiniti disusati (?!, è la stessa teoria
del WILKEN), e che per trovar questi antichi infiniti (che non esistono!) non
bisogna che aggiungere <f>îdan</f> ai detti imperativi. Operazione inutile, perchè
questi inf. in <f>îdan</i>: non esistono, nè si trovano nel Vocabolario (cfr. il <f>farmâyîdan</f>,
di cui sopra), — Il VULLERS ha rischiarato di assai nella sua Grammatica la

classificazione dei verbi persiani, ma la sua divisione è differente da quella che
tento in questo mio lavoro.</note></p>


<pb n="XII"/>


<p>L'Antologia è tutta presa da Firdusi. E qui si dirà
che essa è troppo esclusiva; ma essa non poteva essere
che tale in forza delle ragioni dette di sopra. Anche il
VULLERs, pubblicando la sua Chrestomathia Schahnamiana
(Bonnae, 1833), mostrava di intendere come il miglior
libro per gli studi persiani fosse il Libro dei Rei ma dai
soli quattro brani da lui scelti (l'ultimo poi non è di
Firdusi) lo studioso non si può fare una idea abbastanza
giusta di quell’ opera immortale e del suo contenuto.
Proponendomi invece nella mia Antologia di far conoscere
tutto l'insieme delle leggende eroiche, tutti i diversi
momenti di quella gran lotta secolare tra Irani e Turani,
immagine terrena della lotta tra Ormuzd e Ahrimane, ho
seguito passo passo il Libro dei Re, cominciando dai
primi re e venendo giù fino alla morte di Rustem, col
quale cessa ancora e tace il meraviglioso racconto della
leggenda. I brani scelti sono una ventina; ma, oltre alla
Introduzione generale, ognuno di essi ha una speciale
introduzione nella quale si fanno conoscere i fatti ante-
cedenti e si istituiscono raffronti con l’Avesta e coi libri
tradizionali, laddove cade in acconcio. Cosicchè, quando
lo studioso abbia percorsa l’Antologia, potrà avere una
cognizione, se non perfetta, abbastanza giusta almeno,
dell’ intero Libro dei Re, ciò che per me significa aver
sufficiente cognizione di tutta quanta la leggenda eroica,
la quale poi gli servirà di fondamento per intender più
presto e meglio molte e molte cose, quand’ egli vorrà, dal
moderno persiano, salire allo studio ditutta quanta la lettera-
tura religiosa che riguarda l’Avesta, e all’ Avesta stesso.
</p><p>
Quanto al testo, ho seguito l'edizione di Calcutta e
l'edizione che, con tanta utilità degli studiosi, pubblicava


<pb n="240"/>
>> XII <<

a Leida il Prof. VhLLERS; ma non senza riempire con la
Calcuttense le troppo frequenti ommissioni ch’ egli ha
fatte, siccome già ho avuto occasione di notar più volte
nel Bollettino italiano degli Studi orientali di Firenze. Non
si può negare che il dotto Professore abbia portati molti
e notevoli miglioramenti all’ edizione di Calcutta; ma
questa è però sempre di grandissimo pregio; mi sono valso
quindi di tutt’ e due, preferendo la lezione or dell’ una
or dell’ altra, e talvolta anche seguendo le edizioni di
Parigi del Monr e quella di Teherân (a. 1247 dell’ Egira)
citate dal VULLERS a piedi di pagina. Dico ques o non per
darmi l’aria di aver messo insieme un nuovo testo critico,
ma solo per render ragione dei punti in cui mi discosto
da una delle edizioni, per seguir piuttosto questa o quel-
l’altra. 
</p><p>
Ma per facilitare allo studioso la lettura e l’inter-
pretazione dei canti di Firdusi, lo stile e il modo del
quale sono molto difficili ed incerti per chi non vi ha
molta pratica, ho creduto bene di porre dopo l'Antologia
la traduzione letterale (e mi si faccia grazia del cattivo
italiano) dei primi otto capi dell’ Antologia. Lo studioso
così con la scorta di quella traduzione potrà addomesti-
carsi col costrutto della nuova lingua ch’ egli imprende
a studiare, e acquistar quella tal pratica che gli servirà
poi per tradurre i restanti brani. In questa parte ho
preso per modello i libri del Kossowicz, Decem Senda-
vestae excerpta (Parisiis, 1865) e Sarathustricae Gâthae
(Petropoli, 1867—1871), tanto utili a chi, come me, ha
dovuto studiare lo zendo senza maestri.
</p><p>
Il Vocabolario, come già feci in un mio Saggio di
una Antologia Persiana (Parma, 1877), è redatto in


<pb n="XIV"/>

maniera tutta nuova per il persiano; registra cioè i temi
e le radici, come si fa nei vocabolari sanscriti e zendi,
e non l'infinito; ciò che renderà più facile il rinvenire i
vocaboli. Si noti però che io parlo delle radici quali ora
sono nel persiano, perchè, p. e., nel persiano la radice o
il tema del verbo <f>nihâdan</f> è <f>nih</f> (pres. <f>nih-am</f>, io pongo),
mentre propriamente f>nihâdan</f> si riferisce ad un zendo e
sanscrito <odd>ni</odd> + <odd>dhâ</odd>, in cui la radice primitiva è <odd>dhâ</odd>. Chi
vide e giudicò quel primo saggio, ne parlò con soddi-
sfazione; speriamo che anche ora mi siano benigni i giu-
dizî dei dotti — Il Vocabolario è anche comparativo; e
ciò non solo in forza del principio posto più sopra, ma
anche perchè lo studioso di cose iraniche, fin dal comin-
ciar de’ suoi studi, si renda famigliari i vocaboli zendi,
persiani antichi (delle Iscrizioni), pehlevici e pârsi, dei quali
dovrà occuparsi poi. In questa parte mi sono valso dei lavori
dello SPIEGEL, del JUSTI, dell’ HARLEZ, dell’ ASCOLI; e i
ravvicinamenti da me riferiti sono sempre dei più sicuri,
dei più accertati; qualche ravvicinamento col sanscrito
specialmente, col greco e col latino è stato da me fatto,
ma con parsimonia; per il gotico invece mi son contentato
di ben pochi vocaboli, di quelli soltanto cioè che appar-
tengono a tutta quanta la famiglia indo-europea, come
fadar, batran, ecc. Molte notizie intorno ad eroi, a
leggende, a miti si trovano nelle diverse introduzioni
ai capi dell’ Antologia, ma il Vocabolario supplisce a
quello che in esse manca; dove cioè cadeva in acconcio
il dar qualche notizia, ciò è stato da me fatto con ogni
cura, e si veggano per ciò, tra gli altri, gli articoli:
<list>
<item>سام</item>
<item>ژندواست</item>
<item>ديو</item>
<item>دخمه</item>
<item>پهلوی</item>
<item>پری</item>
<item></item>
<item>آهرمن</item>
<item>البرز</item>
<item>هوم</item>
</list>



</p>

<pb n="XV"/>


<p>Oso pertanto nutrir speranza, con questo mio lavoro,
di porgere allo studioso tutte quelle fondamentali cogni-
zioni che gli possono essere necessarie per proseguire
gli studi iranici, senza le quali molte cose riescono oscure
bene spesso e talvolta inintelligibili. Se io sia riuscito
nell’ intento, non so, lo ripeto; posso però assicurare di
avervi spesa tutta la cura e posto tutto quanto l'impegno.
</p><p>
Qui poi debbo ringraziar pubblicamente il Prof. C.
DE HARLEZ di Lovanio che tanto contribuì perchè questo
mio Manuale potesse essere pubblicato. Il Prof. E. Teza
pure abbia i miei ringraziamenti per i consigli datimi nei
miei studi, mentre io era suo discepolo a Pisa, e li abbia
il Prof. F. Lasino, a cui tanto debbo come discepolo per
i miei studi di arabo e di siriaco, e al quale altresì
con molta gratitudine e affetto questo libro è dedicato.

Firenze, 1. Marzo 1882.

I. PIZZI


<pb n="XVI"/>


AVVERTENZA

Questo libro comparve nel 1883 col titolo di <title>Manuale della Linguae Persiana, Grammatica, Antologia e Vocabolario</title>, intanto che sarebbe
stato assai meglio col titolo più preciso, sotto il quale ora
esce mercè le cure del solerte Editore Sig. WOLFGANG
GERHARD di Lipsia, di: <title>Antologia Firdusiana con un
Compendio della Grammatica persiana e un Vocabolario</title>.
Esso infatti non comprende che passi scelti dal Libro dei
Re di Firdusi, e la grammatica, molto ristretta, vi è come
parte secondaria, sebbene necessaria per lo studioso. Il
perchè della scelta e il fine del libro sono detti nella
Prefazione che abbiam mantenuta qual'è.
</p><p>

Il Manuale, quando uscì, ebbe lodi benevole e indul-
genti da persone dotte e competenti; ma, come queste
persone notarono qualche difetto del Manuale con tutta
gentilezza e cortesia, così l’autore suo non pretese mai
che esso fosse uscito dalle sue mani come opera perfetta,
e anche ora ne lamenta molti difetti ai quali egli rimedie-
rebbe volentieri se tutto ciò che un autore vorrebbe fare,
non fosse impedito in gran parte e quasi sempre dalla
scarsezza dei mezzi e dalla mancanza di aiuto da parte


<pb n="XVII"/>


di tutti. A quegli errori tuttavia ai quali egli può rime-
diare (scusabili, forse, in un lavoro giovanile; inescusabili
tuttavia davanti alla scienza), egli ora mette riparo come
può, ponendo le correzioni in alcuni fogli aggiunti in fine
al volume. Chi gli fece conoscere gli errori, tra leggieri
e gravi, nei quali egli era caduto, fu il Sig. C. J. SEYBOLD
che in un lungo articolo, in data del Dicembre del 1883
da Heilbronn, inserito nel Literatur-Blatt für. Orien-
talische Philologie, Juli-August 1884, I. B. 10. u. 11. Heft,
esaminò molto accuratamente e molto attentamente il
Manuale, lodò quel poco che credette di poter lodare, e
censurò tutto il resto. L'autore gli è grato di questa
censura che egli riconosce esser giusta (eccetto là dove
il SEYBOLD gli addebita anche gli errori di stampa), tanto
grato, che, come può vedere il lettore, egli, nelle pagine
aggiunte, ha corretto moltissime cose, accettando quasi
tutti (tutti, in coscienza, non si poteva) gli appunti fatti-
gli da lui.
</p><p>
Ma se lo ringrazia per la giusta censura, non lo rin-
grazia per il modo aspro, burbero, con cui l’ha fatta.
L'autore non ha incontrato in lui l'amorevole collega che
fa avvertito il collega suo degli errori in cui è caduto;
ma s'è imbattuto in un censore rigido e accigliato che
sale in cattedra e, tenendo in pugno lo staffile e pestando
de’ piedi, fa la lezione allo scolaretto ch’ egli vuole ingi-
nocchiato innanzi a sè<ref n="1"/>. Di questo suo contegno l'autore
non ringrazia di certo il Sig. SEYBOLD; ma lo prega di

<note n="1">Ricordiamoci che Giacomo Meyerbeer diceva: ,,Das Hauptthema vieler
Aritiker (in Deutschland) ist, diewirklichen oder vermeinten Schattenseiten recht lang
und breit zu besprechen und den Autor wie einen Schulknaben heruntersumachen, der
noch Viel, sehr Viel zu lernen habe (SCHUCHT, Meyerbeers Leben und Bildungsgang.
Leipzig, 1869, S. 364).


<pb n="XIX"/>


pensare e di vedere se acquista maggior simpatia presso
il pubblico lo scolaretto inginocchiato o il censore che
grida e mena la sferza. Tanto poi aveva voglia il
Sig. SEYBOLD di menar la sferza nel momento ch’ egli
scriveva quell’ articolo, che, dimenticatosi per un momento
del Manuale e del suo autore, se la pigliava con gl’ Italiani
in generale perchè, secondo lui, non sanno usar bene dei
risultati della scienza tedesca. O studiosi d’Italia, udite
cosa vi grida dalla sua cattedra di Heilbronn il mio e
vostro censore? È ora di far senno! se no, ci toccano le
sferzate!
</p><p>
Auguriamoci intanto che quest’ Anthologia Firdusiana
possa trovar buona fortuna presso gli studiosi, secondando
i voti del suo autore e dell’ Editore ancora, che non
risparmia dispendio e cure per metterla fuori.

Torino, Gennaio 1891.

I. PIZZI.


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GRAMMATICA


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GRAMMATICA PERSIANA

ee

I FONOLOGIA

I. ALFABETO.

1. Dei popoli Ariani o Indo-europei che un giorno,
secondo l'opinione dei più, abitarono uniti negli altipiani
dell’ Asia centrale e che poscia si distesero per sì ampio
tratto di paese, dall’ India all’ Islanda, gli Indiani e gli
Irani soltanto rimasero nell’ Asia, gli altri invece passando
in Europa, ne occuparono tutta la parte meridionale col
nome di Greci, di Itali e di Celti, e con quello di
Slavi e di Germani o Teutoni tutta la parte più al
settentrione. Tra Irani e Indiani trovansi maggiori somi-
glianze che con altri popoli non solo nella lingua, ma
ancora in molte cose di religione e di costumi; e i primi
che abitarono quel vasto paese che dalle montagne che
rasentano l’Indo va fino al Golfo Persico, dall’Armenia
fino al Belucistàn, conosciuti più comunemente sotto il
nome di Persiani, quando caddero sotto i loro colpi i
grandi imperi semitici di Ninive e di Babilonia, fondarono
una nuova monarchia che toccò il suo massimo splendore
con Ciro il grande e con Dario figlio di Istaspe, e declinò
poi con Serse e coi suoi successori. Questo gran popolo

1*


<pb n="240"/>
> 4 -«<

persiano, ora invilito e snervato dalle dottrine di Maometto,
nei tempi di sua maggior potenza e floridezza, ebbe tre
grandi monumenti, le Iscrizioni cioè degli Achemenidi,
dette cuneiformi dalla foggia dei caratteri fatti a cuneo,
il libro sacro detto Zendavesta o meglio Avesta, che
contiene le sacre dottrine di Ormuzd rivelate a Zoroastro,
e il Skéhnameh o Libro dei Re di Firdusi. È ben vero
che la forma nella quale abbiamo ora tanto l’Avesta
quanto il Z26r0 de Re, non è molto antica (Firdusi poi
visse nel decimo secolo dell’ Era volgare); ma la tradi-
zione religiosa conservata nel primo e la leggenda epica
del secondo sono molto più remote, risalgono ai tempi
anteriori alla storia, e contengono le prime idee di quel
popolo intorno alle cose morali e religiose, e le memorie
degli eroi e dei re della sua prima età semplice e quasi
fanciullesca.

2. Dopo. Firdusi, che visse e poetò dal 940 al 1020
dell'Era volgare, la letteratura persiana perde il suo
carattere nazionale. Firdusi stesso era Mussulmano; ma
come con lui si chiude il ciclo dei poeti epici in Persia,
così tutta la letteratura a lui posteriore abbandona i
grandi soggetti nazionali, riguardati con occhio sospettoso
dai fanatici Mussulmani tanto che lo stesso Firdusi corse
grave pericolo di essere condannato come seguace di
Zoroastro, e si volge ad imitare i poeti e i prosatori
degli Arabi, coi quali era altresì entrata nell’ Iràn la
religione di Maometto. Lo stesso /skexdernàmeh o Libro
di Alessandro Magno di Nizàmi è un infelice tentativo di
epopea, nel quale non trovi le antiche e genuine leggende
iraniche del Zero dei Re e dell’ Avesta, nè il vigore
delle poesia di Firdusi; e il poemetto di GAmi, Yiswf
u Zuleykhà, è dovuto alle tradizioni arabe intorno a
Giuseppe figlio di Giacobbe e alla moglie di Putifarre,
quali si trovano riferite nel capo XII del Corano. Eppure
dal secolo XI al XV vissero e poetarono in Persia molti


<pb n="240"/>
> 5 «

e grandi ingegni, quali Nizàmi, Khàkani, Hâfiz, Saadi,
Gàmi, e Mirkhondi scrisse le sue storie. Me il fare e
lo stile di questi scrittori è foggiato all’ araba in gran
parte, come pure la loro lingua va sempre più accogliendo
parole arabiche, non sempre per necessità di vocaboli,
ma per un vezzo mal inteso degli scrittori.

3. Le lingue iraniche si solevano già dividere in
— due rami, nel ramo cioè orientale e nell’ occidentale.
Al primo appartiene la lingua nella quale è stato scritto
l'Avesta e che chiamasi impropriamente zexd, mentre
altri usa chiamarla arnzico battriano, ritenendola per la
lingua antica della Battriana; in Germania almeno si usa
designarla con quest’ ultimo nome (in ted. a/t0a#trisch).
L'Harlez, all’ uso orientale, la chiama ora avestica o
lingua dell’Avesta. La parte poetica e più antica dell’
Avesta è scritta in una lingua più aspra e ruvida che
lo Spiegel suppose essere la lingua delle valli della Sog-
diana, e conserva però grande somiglianza col zex4 delle
altre parti dellAvesta. Il zexd4 poi ha grande affinità
con la lingua sacra degli Indiani che è il sarscerzto. AI
ramo occidentale delle lingue iraniche appartiene l'antico
persiano nel quale sono dettate le Iscrizioni degli Ache-
menidi sulla rupe di Behistàn, alta mille e settecento
piedi inglesi, sulle rocce di Alvend, a Murghàb ed a
Persepoli. Appartiene pure a questo ramo la lingua in
cui sono scritti il Burdehesh o Libro della Creazione ed
altri libri religiosi unitamente alle versioni dell’ Avesta,
e che si chiama pellevi o huzvaresh. Dell’ origine,
della patria e del tempo di questa lingua, singolarmente
piena di parole caldaiche e siriache, si sa molto poco e
se ne va ancora trattando e questionando dai cultori di
cose iraniche; ciò soltanto che par fuor di dubbio, si è
che essa fu usata al tempo dei Sassanidi che regnarono
in Persia dal 222 al 650 dell’ Era volgare. Il férs? pure
appartiene a questo ramo, e in questa lingua è scritto


<pb n="240"/>
>» 6 =

il Mindkhired che tratta della eccellenza della religione
di Zoroastro. Il férs? differisce di poco dalla lingua di
Firdusi, che è il persiano moderno detto comunemente
derî o lingua dî corte dai Persiani, e che differirebbe di
poco dalla lingua odierna di Persia se non conservasse
molte forme antiquate proprie del férsî e del pellevi;
oltre a ciò la lingua di Firdusi è pura, mentre il persiano
moderno è pieno di parole e di espressioni arabe. Di
questa lingua imprendiamo ora a studiar la grammatica.
Alle lingue iraniche appartengono, verso occidente, anche
l'antico ed il moderno armeno coi dialetti degli Osseti,
e, verso oriente, la lingua dell’ Afghànistàn che ora però
si stima da molti che appartenga più alle lingue indiane
che alle iraniche.

4. Ora invece, come già fece il Prof. Fr. Spiegel nella
sua grande opera sulle Axzickztà Iraniche', seguendo il
Westergaard, le lingue iraniche si dividono in ramo setten-
trionale, al quale appartiene il zez4, col suo centro a
Ragha o Rai, sede del Zarathustròtema o gran sacerdote
di Zoroastro, e in un ramo meridionale, col suo centro
a Persepoli, al quale appartiene il persiano antico che è
la lingua dei Re Achemenidi. Appartengono pure a questo
ramo il pehlevi, il pârsi ed il persiano moderno.

5. La lingua persiana adopera una scrittura di origine
araba e ha trentadue consonanti; esse mutano di forma
secondochè si trovano isolate o in principio o in mezzo
o in fine di parola. Le parole si scrivono e si leggono
da destra a sinistra.

1 Erdnische Alterthumskunde, Ill, p. 741 e segg.


<pb n="240"/>
> 7 «

CONSONANTI.
fa | | i
È è I $ E) ° Nome * Valore
a Bifja
pUI | LIL] dlalif spirito dolce greco 0).
w|:/4|| Lbà 5
— 09/316 lyal bepà |2
w|3%|/w & tà. VA
Nardi il LU thà #h bleso, 9 greco moderno.
rà > | slelm gim £ faire in gelo, sara:
oto c italiano in cedere, cogno.
in € di aa È 9 0,
X ci> > € LS hà A fricativa faucale.
5: la khà kh
ld bi ES € a duro.
dolo 'da' dl Jio dal d
5 è ddl JI3 dial | 44 bleso, è greco moderno.
dv x| b8 |”
did xx] bA |:
355 è# ts zhà j francese in 7ower.
u” | * Mi» TO ninni sîn $
dd I da |y&| y4& shin | sch_ tedesco in Schaf, ch
x vi (4a ua] olo cad |eg [ francese.
V| 4% [va] vt dhàd | 44, 2.
Xx bib | b'b|i Uta £ forte.
\-b'b bLl Wza z
x eis * aloe ‘ayn | spirito gutturale.
é|a A alot ghayn| £% duro.
dii ài|dl Lfa f
__Gi5 £|G| Sbkàf | 4% duro, g.
GIS KIA GSkaf |£
—_T SF kI&| gdf | tedesco in geser, gi8.
<pb n="240"/>
Figura —
2 È 3 | È Nome Valore
SEGR È
2 È | £ o;
JI dd] pdlam |
e P:) | + ld A mîm VA
od Ì DÀ al vg non n
33 | xx] gsvav |?
s D.gla le hà h
so r'alel Lyà Y, j tedesco in /a.

6. La lettera J / seguita da | forma il nesso Y, Zé.
7. I segni dei numeri, che si leggono da sinistra a
destra, sono:

{POR ® è dova 91»

I 2345 67 8 90
8. Le vocali sono sei, tre brevi e tre lunghe, e si
determinano in iscritto per mezzo di lineette o virgole
poste sopra o sotto alle lettere. Le brevi sono le

seguenti:
- a xs fathah > da
- È syauS kasrah > di
2. % x dhammah © du
g. La fathah si pronuncia ora «@ ora e. Noi la trascri-

veremo sempre per 4a per maggiore uniformità.
ro. La lettera $ non ha alcun valore, ma prende il

suono della vocale che le si appone, come: ul, ni

gia asp, tram, ushtur.

11. Se poi alla fathah (-) si faccia seguire un |, alla
kasrah una xs, alla dhammah una ,, le vocali diventano
lunghe, come:


<pb n="240"/>
> 9g -

Va xsus fathah G dé

e. È Spia kasrah ‘<’@ dî
È xò dbammah',}3 bit.
12. Il più delle volte la kasrah lunga ha il valore
di ? e la dhammah quello di #, come peg gir, gr
biidan; ma spesso anche la kasrah vale è, e la dhammah
vale é, come: qa 4654, de £9sh (cfr. il skr. ghosha,
z. gaosha; z. tkaésha). Questa differenza sarà notata fra
parentesi, dietro ciascuna parola, nel vocabolario, mentre,
per maggiore uniformità, noi trascriveremo sempre fe
nell’ uno e nell’ altro caso.

13. Le lettere 1, ,, S ‘delle vocali lunghe non ‘hanno
alcun valore, e però non si pronunciano.

14. Si noti che il gruppo 3& #44 si deve leggere
khò, e il gruppo h> khvà si deve pronunciare £4é, come
in I gli khvardan, khvahar, che devonsi leggere
khordan, khahar. Nella trascrizione tuttavia, per maggior
chiarezza, scriveremo sempre 4424 e £hvà.

15. Le vocali generalmente non si trovano mai
notate nelle stampe e nelle scritture più comuni, ma
solo vi si scrivono le consonanti, lasciando alla pratica
del lettore il supplire a tale mancanza. In questo libro
perciò, non solo perchè l'imparare a leggere un testo
persiano senza vocali è relativamente assai più facile
che il leggere un testo arabo che abbia le sole conso-
nanti, ma anche perchè generalmente i testi persiani non
portano vocali, abbiam tralasciato di notarle, non man-
cando però di porre la pronuncia in caratteri corsivi
dietro ogni parola, tanto nella grammatica quanto nel
vocabolario, e di notare lo stesso segno della vocale
laddove s’incontrava qualche caso dubbio.

16. Altri segni per la lettura sono i seguenti:


<pb n="240"/>
=> IO -=<€

A, la gazmah, usa (°), che si pone sulle consonanti
che si devono pronunciare senza vocali, come o kun,
3 dar; le lettere infatti .,, e5 non hanno vocali.
B, il faskdid, 93045 (*), che serve a raddoppiare la
consonante su cui si pone, come in È khurram, p narr.
C, la kamzah, 3340 (a; che si pone in persiano dopo
i nomi che terminano in »-- 4, e4, quando a questi si
voglia far seguire la 7 del genitivo, come xl che si
legge zémah-2. Serve anche a notare una (4 y seguita
da un’ altra, come in St gigi per ERE la prima y in

tal caso si scrive senza i due punti, come si vede nello
esempio addotto.

D, la maddah, sò (©), che si pone sulla | iniziale
che, in tal caso, diventa lunga, come in us ahan, 0%!
dvardan, ya dyin, yiiyal amikhtan.

II, CAMBIAMENTI DI VOCALI E DI CONSONANTI.

.

17. Tratteremo dei cambiamenti delle consonanti e
delle vocali che avvengono nell’ incontro dei temi coi
suffissi grammaticali soltanto, lasciando quelli che avven-
nero già nella formazione originaria della parola persiana,
in uno stadio più antico della lingua, e che perciò
appartengono alla grammatica comparata delle lingue
iraniche.

A. Cambiamenti di vocali.

18. Se due 4, qualunque sia la loro quantità, s'in-
contrano, si pone fra loro una y, come: numd-am = numàa-
y-am, pls

19. è + ? diventa éy?, frapponendo una y, come in
numoî = numdy-î, SL (16, c).

20. î seguito da @ diventa 7y, come in g2r/-am =

giriy-am, pr


<pb n="240"/>
=> Il --<t

21. # seguito da « prende prima di questo @ una
y, come £%-ad = g%-y-ad, BERE talvolta anche si risolve

n o pi 3 n
in xv, come in di-am = buv-am, pr raramente diventa

Ge

av, come in duri-am = durav-am, ey

A

22. Quando # sia seguito da ?, fra queste due vocali
si pone una y, come in g4-îd = gù-y-id, V8,5

Nora. — Questa y che viene a inserirsi fra le due vocali, -
corrisponde, non rare volte, ad una antica 44 che per via di 4 diventa
y nel persiano moderno. Così il np. (neo-persiano) r4-y-a7m corri-
sponde al zendo rud4 in raodheîiti, np. d-rd-y-am a un zendo d-rédh,
np. giriyam a un zendo garedkì. — Vedremo più innanzi come
l'antica dentale 44 si sia conservata anche nel persiano nella figura
di s dinanzi a /, come in d-rés-fan, z. d-rédh, shus-tan, z. khshudh. —
Alle volte però questa y è inserita soltanto per togliere l’iato delle
due vocali, come in #u-md-y-am, skr. e z. md.

B. Cambiamenti di consonanti.

23. Quando qualcuno dei suffissi grammaticali che
cominciano per 7, cioè £am, ti, tim, tîd, tand, tan, tah,
si unisce a qualche tema, questo £ si muta in 4, purchè
il tema termini in vocale o in qualsiasi altra consonante,
eccetto d, v, s, sk, 2, 4, e la sillaba ér. Quindi avremo:

gè-tam = gà-dam, pol:

daemi-tah = dzmi-dah, sozal.

pursi-tan = pursi-dan, j04uwrs.

kar-tand = kar-dand, dio

màn-ti = màn-dî, soil.

24. Quando invece il suffisso che comincia per /,
sia preceduto da una delle consonanti 6, 2, s, sk, z, 4 o
dalla sillaba 47, allora questo £ rimane inalterato e le
consonanti si mutano secondo le regole seguenti.

25. Il 6 dinanzi al #£ del suffisso mutasi in f come
in #46-tah = kif-tah, xksyS.

1 AscoLI, Studi Irani, art. I°, Sfaldature dell antica aspirata, p. 5 e segg.


<pb n="240"/>
z3> 12

26. Il 7 davanti al £ si cambia in f, come: 4éav-tam =
kaf-tam, pis; rav-tan = raf-tan, us) Il tema 24
risolve 4 in 2 e muta v in / cioè: guv-tam, guf-
tam, pais; ciò si spiega col suono primitivo della radice
£%, dire, che era guv o gb, come si vede nel caubata?y
e nell’ agaubatà del persiano antico delle Iscrizioni, pro-
venienti dalla radice £%5, dire'; uv quindi unito al
suffisso ha obbedito alla regola comune, guv-tam = guftan:,
io dissi.

27. La s dinanzi al # mutasi in sk, come in rîs-tax =
rish-tan e rish-tan, en) e gisy

28. La s dinanzi a £ mutasi anche in #4, come in
shinàs-tam = shinòkh-tam, pila.

29. La 2 (che rappresenta un’ antica palatale, np.
afriz = z. aîwi-rut) innanzi a £ mutasi in #4, come:
angiîz-tan = angîkh-tan, gia.

30. La 4% dinanzi a £ mutasi in s; #4/4-tam — kàs-
tani, pis.

31. La sillaba ér colla quale terminano molti temi
verbali, innanzi al f mutasi in dsk, come: argàr-tan =
angàsh-tan gie.

32. La 4 finale innanzi al suffisso plurale éx si muta
in g, come: murdah-àn = murdag-an, Soy. A tutto
rigore si dovrebbe dire che la 4 finale in questo caso è
un affievolimento del primitivo £ e questo di £ che trovasi
nel pehlevico, p. e. phi. g&ma£ e np. gàmal, sol>, veste.
Innanzi al suffisso df quest’ 4 si muta in g, come in
nuvishtah-àt = nuvishtag-àt, «srt. Questo suffisso
s'incontra solo nel persiano dell’ epoca più tarda e sembra
esser stato preso in prestito dall’ arabo, come vedremo
più innanzi.

33. ll pronome pl 7 questo, nella forma di I
21, dinanzi alle parole 3) FRE (0), i shab, Jlu sal,

1 SPIEGEL, Altpersische Atilinschriften, p. 196.


<pb n="240"/>
> 13 «

muta la x in #m, come: iyyel d-ri2z (6), questo giorno,
oggi; duel 24-skab, in questa notte; Jluet 272-584, in
quest’ anno.

II TEORICA DELLE FLESSIONI. — A. VERBO.

I. TEMI DEL VERBO.

34. Il verbo persiano si può ridurre a due temi, dei
quali chiameremo l'uno tema di presente, l'altro tema di
passato; così di \gutsr bakhshidan (infin.), donare,
usar bakhsh è A tema di presente, dudtr dahshid
quello del passato. — Il fema del presente si potrebbe
anche chiamare radice del verbo.

35. Al tema del presente appartengono il fresexze, il
futuro, l'imperativo e il participio presente; appartengono
al tema del passato il passato, l'infinito e il participio
passato. — Il passivo e gli altri tempi si determinano coi
verbi ausiliari, come vedremo.

II. TEMA DEL PRESENTE.

36. Il tema del presente si può definire quella parte
essenziale del verbo priva di ogni suffisso. A questo
tema si aggiungono immediatamente le terminazioni, se
esso termina in consonante; così dal tema gi be44sk,
donare, abbiamo pis baXks4k-am, io dono. Se poi il
tema termina in vocale, nell’aggiungere le desinenze del
presente si osservano le regole dei paragrafi 18, 19, 20,
21 e 22. i

37. Le terminazioni del presente sono am, î, ad
per il singolare; 772, î4, @r4 per il plurale.

38. Tema in consonante, deZ4sk, donare:


<pb n="240"/>
> 14 «=

3 dakhsh-am, io dono.
s bakhsh-t, tu doni.
ven bakhsh-ad, egli, ella dona.
bakhsh-îm, noi doniamo.
AVETE bakhsh-îd, voi donate.
iis bakhsh-and, essi, esse donano.
39. Temi in vocale, félé, purgare, 775, piangere.
£%, dire:
pdl d6/4-y-am, io purgo.
SI péala-y-î, tu purghi.
dat giriy-ad, egli, ella piange.
neiy £îrîy-im, noi piangiamo.
da £%-y-îd, voi dite.
Diu g%-y-and, eglino, elleno dicono.
40. Il futuro ha le stesse terminazioni del presente
e si forma da questo premettendo la particella xs 62%,
come piso x 604 bakhsham, io donerò; per lo più
questa particella si prepone al verbo perdendo l’ultima
lettera 4, cioè miuir 67-bakhsham. I temi terminanti
in vocale hanno, per le terminazioni, le stesse regole del
presente. Avremo quindi:
= bi-bakhsh-am, io donerò.
bi-bakhsh-î, tu donerai.
UNLa bi-pàla-y-ad, egli purgherà.
ps bi-pàlà-y-im, noi purgheremo.
d45, bi-giriy-îd, voi piangerete.
Disk di-giy-and, essi, esse diranno.
41. I temi che cominciano per vocale, tra la vocale
della particella 67- del futuro e la vocale iniziale del tema

pongono una y, come d?-y-àg-am, pelo, io pianterò, dal
tema _i ag; talvolta però il y si tralascia come: dal,
bi-dg-ad, egli pianterà. Trovasi anche, specialmente nel

verso, soppressa la 7 della particella 62-, come: A>L 8-ag-
ad, egli pianterà. Se. poi il tema comincia per vocale


<pb n="240"/>
= I6 -<

III. TEMA DEL PASSATO.

44. Il tema del passato si forma da quello del pre-
sente coll’ aggiunta di un # al quale tengono dietro le
desinenze. Così dal tema di presente lo mér si fa
màn-t, poi màn-d dale (23), e mànd è tema di passato
di man.

45. Senonchè alcuni verbi aggiungono mediatamente,
altri 2mmediatamente il # al tema di presente. Di questi
ultimi parleremo più innanzi. I primi invece uniscono
questo £ al tema del presente per mezzo di una delle
vocali è, î, % o per mezzo della lettera s.

46. Nel caso delle vocali é, î, al tema di presente
si fa seguire una di queste vocali, alla quale tien dietro
il # che mutasi in 4 (23). Così dal tema di presente x;
nth avremo nzhk-d-t = nthéd ola che è tema di passato;
parimente dal tema gi3% danhsa avremo bdakhksh-t-t =
bakhshîd Dai.

NotA 1. — Che il # fosse primitivo in questi verbi e che poi
esso si sia affievolito in 4, si conosce dal pehlevico in cui abbiamo
bakhshitan = np. bakhshîdan, e détan = np. dédan (infiniti).

Nora 2%. — Nel trattar di questi verbi abbiam dovuto partire
dal punto di vista del neo-persiano e trattar come vocale d’unione
questa 4, perchè in questa lingua wi% va considerato come tema di
presente e radice del verbo (pres. xi4-27:) che ha per tema di passato
nihéd; ma nikéd, secondo la grammatica comparata, va scomposto
in ni-h4-d (ni è un' antica preposizione) che ci riconduce a un z. e
skr. ni-dhd, in cui la radice è d4é = gr. Be in ti@gpi. Parimente
il np. firist ha per tema di passato firistàd, ma questo ci riconduce
a un z. fra-;tà, skr. pra-sthé, nei quali la radice è stké, stà, gr.
sta in iotypi, lat. sto, sisto.

47. I verbi che prendono invece per intermedia la
vocale #, al tema di presente terminano in dé, il quale &

A

dinanzi all’ # si elide. A questo # poi segue il # che
diventa 4 (23). Così dal tema di presente Usi demà

avremo nel tema di passato 4zw:[é]-4-f, poi d2m#d oxagl.


<pb n="240"/>
>> IS =

breve (per | cioè senza la maddah —), la | sparisce e si
conserva soltanto la vocale che essa aveva; così il tema
ul %/, cadere, fa al futuro pui x ih uftam, € più
bi-y-uft-am, io cadrò. Avremo quindi dai temi e ag e
il 2/0:

pate bi-y-Gg-am, io pianterò.

le bi-y-dg-î, tu pianterai.

dol 8i-y-66-ad, egli, ella pianterà.

piso bi-y-uft-im, noi cadremo.

Quit b2-y-uft-îd, voi cadrete.

Qui 82-y-uft-and, eglino, elleno cadranno.

42. L'imperativo non ha che la 2° persona singolare,
valendo per le altre persone quelle del futuro. Il solo
tema del presente preceduto dalla particella é2- costituisce
questa 2* persona. Avremo quindi:

pisa 62-bakhsh, dona tu.
Lu b-numà, mostra tu.
De bi-gi, di’ tu.
To, Ul di-dg, bi-y-dg, pianta tu.
E° Li 5
z-y-uft, cadi tu.
SÒ bi-gîrî, piangi tu.

43. Il participio presente ha tre terminazioni, cioè
à, an, andah. Quì pure per le vocali si richiamano le
regole dei paragrafi 18, 19, 20, 21, 22. Avremo quindi
dai temi da&4sk, numd, giri, giù i participii presenti:
siii cy lic Liar ba4/454-d, bakhsh-an, bakhsh-andal,

donante.
souls sli Gli zumd-y-d, suma-y-Gn, numa-5 -
andah, mostrante.

sOiazt ob LS giriy-à, giriy-àn, giriy-andah,

piangente.

sat vob LS gi-y- -à, gh-y-Gn, gh-y-andeh,
dicente.


Tn
<pb n="240"/>
Sa

> 15 «=

:ive (per | cioè senza la m0a4dah —), la | sparisce e si
iserva soltanto la vocale che essa aveva; così il tema
| 2/ft, cadere, fa al futuro pis! x dA uft-am, e piùù

al ag e

y-uft-am, io cadrò. Avremo quindi dai temi
sl 2ft:

pete 6i-y-dag-am, io pianterò.

Eat bi-y-dg-î, tu pianterai.

dal 6-y-dg-ad, egli, ella pianterà.

più di-y-uft-îm, noi cadremo.

uti bi-y-uft-îd, voi cadrete.

uv 52-y-uft-and, eglino, elleno cadranno.

42. L’imperativo non ha che la 2° persona singolare,
valendo per le altre persone quelle del futuro. Il solo
tema del presente preceduto dalla particella 6:- costituisce
questa 2° persona. Avremo quindi:

pass b:-0akhsh, dona tu.
Li bi-numà, mostra tu.
35 di-gîii, di tu.
To, = di-dg, bi-y-6g, pianta tu.
cis bi-y-ufft, cadi tu.
«ore bi-girî, piangi tu.

43. Il participio presente ha tre terminazioni, cioè
a, an, andah. Quì pure per le vocali si richiamano le
regole dei paragrafi 18, 19, 20, 21, 22. Avremo quindi
dai temi da44sk, numà, giri, gù i participii presenti:
sibi yi Lis baZhsh-d, bakhsh-an, bakhsh-andah,

donante.
soil ult Li numd-y-d, numa-y-Gn, numé-3-
andah, mostrante.

sOiazt ob Vs giriy-à, giriyv-an, giriy-andah,

piangente.

BO ol 5 gi-y-è, £i-y-Gn, gh-y-andah,
dicente.


<pb n="240"/>
» 16 «<<

III. TEMA DEL PASSATO.

44. Il tema del passato si forma da quello del pre-
sente coll’ aggiunta di un / al quale tengono dietro le
desinenze. Così dal tema di presente le wdx si fa
màn-t, poi man-d Asl (23), e mand è tema di passato
di man.

45. Senonchè alcuni verbi aggiungono medzatamente.
altri emmediatamente il # al tema di presente. Di questi
ultimi parleremo più innanzi. I primi invece uniscono
questo # al tema del presente per mezzo di una delle
vocali é, î, # o per mezzo della lettera s.

46. Nel caso delle vocali &, î, al tema di presente
si fa seguire una di queste vocali, alla quale tien dietro
il # che mutasi in 4 (23). Così dal tema di presente xò
nîh avremo nih-d-t = niîhéd slg che è tema di passato;
parimente dal tema is daZish avremo dakhsh-t-t =
bakhshid dai.

Nota 1. — Che il # fosse primitivo in questi verbi e che poi
esso si sia affievolito in 4, si conosce dal pehlevico in cui abbiamo
bakhshitan = np. bakkshidan, e datan = np. dédan (infiniti).

Nota 2? — Nel trattar di questi verbi abbiam dovuto partire
dal punto di vista del neo-persiano e trattar come vocale d’unione
questa d, perchè in questa lingua zi% va considerato come tema di
presente e radice del verbo (pres. zi4-a@m) che ha per tema di passato
nihéd; ma nikéd, secondo la grammatica comparata, va scomposto
in ni-hA4-d (ni è un’ antica preposizione) che ci riconduce a un z. e
skr. ni-dhé, in cui la radice è 4%é = gr. 6e in ti9ypi. Parimente
il np. firist ha pèr tema di passato firistàd, ma questo ci riconduce
a un z. fra-gté, skr. pra-sthé, nei quali la radice è st4é, fé, gr.
sta in iotypi, lat. sfo, sisto.

47. I verbi che prendono invece per intermedia la
vocale #, al tema di presente terminano in é, il quale &
dinanzi all 4 si elide. A questo # poi segue il £ che

diventa 4 (23). Così dal tema di presente Li azmà

avremo nel tema di passato 427:[4]-4-4 poi 42204 vyejl.


<pb n="240"/>
> 17 +=

48. La s intermedia si pone fra il tema del presente
ed il £ che allora si conserva tal quale (24). Quindi

dal tema VI] àarà si farà drd-s-t, culi, che è tema
di passato. Se poi il tema di presente termina in con-
sonante, alla s si prepone una 7, così da Ro nigar avremo
nogar-1-s-£, crt.

Nora. — Anche qui, partendo dal punto di vista del neo-
persiano, abbiam dovuto trattar come epentetica questa s che appare
davanti al £ suffisso; ma, come abbiam già fatto osservare (22 nota),
la s è qui rappresentante di una antica 4% che si trova nello zendo;
np. d-rds-t = z. &-rddh, np. shus-t = z. khshudh. Questa dk poi,
come vedemmo, appare nel neo-persiano nella figura di y davanti a
vocale, np. d-rdy-am, shiy-am, riy-am = 2. &-rédh, khshudh, rudh.

49. Formato il tema del passato, gli si uniscono le
desinenze che per il /emo fassato sono ‘am, è (la 3° per-
sona non ha terminazione, ma lascia tal quale il tema),
im, îa, and. Eccone gli esempi:

so. Temi che prendono é; tema di presente xz%, porre.

pole nth-à-d-am, io posi.
cole n74-4-d-î, tu ponesti. ,
ol& z7h-4-d, egli, ella pose (49).
prole #74-a-d-îm, noi ponemmo.
Quolg 274-d-d-îd, voi poneste.
sole 224-d-d-and, eglino, elleno posero. .

51. Temi che prendono ?; tema di presente 4a44sà,
donare. È

poster bakksh-i-d-am, io donai.

dit dakhsh-t-d-î, tu donasti.

dui bdalhsh-i-d, egli, ella, donò.

pro4sso bakhsh-i-d-îm, noi donammo.

dodo dakhsh-t-d-îd, voi donaste.

dida bdakhsh-i-d-and, eglino, elleno donarono.

52. Temi che prendono #; tema di presente 4zzà,

provare.
° 2


<pb n="240"/>
- 18 +—f

p095) azm[d|-#-d-am, dzm-i-d-am (47), io provai.
SÙ! dem-4-d-î, tu provasti.
0yo,i dam-i-d, egli, ella provò.
peer! d24-#-d-îm, noi provammo.
d3052) dazm-h-d-îd, voi provaste.
Oi0yel dzm-#-d-and, eglino, elleno provarono.
53. Temi che prendono s; temi di presente: drd,
ornare, 27gar, osservare.
pioli arà-s-t-am, io adornai.
Sl arà-s-t-î, tu adornasti.
cub arà-s-t, egli, ella adornò.
prio nigar-î-s-t-îm (48), noi osservammo.
pit niîgar-1-s-t-îd, voi osservaste.
iii nigar-1-s-t-and, eglino, elleno osservarono.

54. L'infinito termina in @%; quindi dai sopraddetti
temi avremo:

BREA nih-G-d-an, porre.
gdr bakhsh-i-d-an, donare.
w%79Ì dzm-Mt-d-an, provare.
te aràa-s-t-an, ornare. '.
pià nigar-1-s-t-an, osservare.

55. Il participio passato termina in 44; quindi dai
detti temi avremo:

sole n24-G-d-ah, che ha posto.
sputi dakhsh-i-d-ah, che ha donato.
s079Î éem-i-d-ah, che ha provato.
N] arà-s-t-ah, che ha ornato.
siti nigar-t-s-t-ah, che ha osservato.

Si noti che spesso il participio passato esprime una pro-
posizione incidente, come: s04dgs VOR) piano alito


<pb n="240"/>
>> 19 =

dj bb 9, khugistah bisyàr zar u zivar pushidah,
nazd î fiati raft, Khogisteh molto oro e ornamenti essen-
dosi vestita (%s4-î-d-ah part. passato del tema sk,
vestire), presso al pappagallo andò.

56. Tratteremo ora dei verbi che uniscono ?2rzzze-
diatamente il # del passato al tema del presente.

57. Quando il tema del presente non termini con
una delle lettere 4, 2, s, sk, z, 4, nè con la sillaba &r,
il £ caratteristico del tema del passato si unisce 2727e-
diatamente al tema di presente e diventa 4 (23); così
dal tema 4ax avremo £ax-f = kand, ds, che è tema
di passato. Eccone gli esempi:

58. Temi di presente: #az, scavare, s0ar. portare.

pis kan-d-am, io scavai.
(SOUS kan-d-î, tu scavasti.
0 kan-d, egli, ella scavò.
peogsT dvar-d-îm, noi portammo.
doo, dvar-d-îd, voi portaste.
dsoygl avar-d-and, eglino, elleno portarono.
Infinito: HIHI kan-d-an, wi dvar-d-an.
Participio passato: sQdus £ax-d-ah, soygf dvar-d-ah.

59. Se invece il tema di presente termina in una
delle lettere 4, v, s, sk, 2, 4 o nella sillaba èr, il £ del
passato gli va unito pure immediatamente e rimane inalte-
rato, ma le consonanti finali dei temi, dinanzi a questo 4,
subiscono i mutamenti fonetici dei paragrafi 24, 25, 26,
27, 28, 29, 30, 31.

60. I verbi che nel tema del presente escono in 6,
dinanzi al # del passato mutano questo 6 in f Temi di
presente: #46, battere, y46, trovare.

pis kif-t-am, io battei.
435 kif-tî, tu battesti.
bg k&f-t, egli, ella battè.

2*


<pb n="240"/>
>> 20 «<<

pas yéàf-t-iîm, noi trovammo.

Quvli ydf-t-îd, voi trovaste. °

dsl yé/-tand, eglino, elleno trovarono.
Infinito: yy, A2/tan, qu, viftan.
Participio passato: xx, £4/t-ah, xl, ydf-t-ah.

61. I verbi che al tema di presente escono in 7,
cambiano questo 2, dinanzi al f del tema del passato, in
f. Temi di presente: #42, scavare, ra2, andare.

pis kaf-t-am, io scavai.

«4 kàfti, tu scavasti.

us £f-t, egli, ella scavò.

aùd; raf-t-tm, noi andammo.

Sab) raf-t-îd, voi andaste.

Dias, raf-t-and, eglino, elleno andarono.
‘Infinito: pu, 44/4-ar, by: raf-t-an.
Participio passato: as, 44/-t-ah, sis) raf-t-ah.

62. I verbi che al tema di presente escono ‘in s,
mutano questa s, innanzi al 4 in sà. Essi, innanzi a
questa s del tema di presente, hanno una ? che nel tema
del passato mutasi in z. Temi di presente: 7?s, filare,
nuvîs, scrivere.

pò) rish-t-am, io filai.
si) rîsh-t-î, tu filasti.
cui) 775k-4, egli, ella filò.
POSTO nuv?sh-t-îm, noi scrivemmo.
Quiis nuvish-t-îd, voi scriveste.
divi, nuvish-t-and, eglino, elleno scrissero.
Infinito: yi, rish-tan, gio nuvish-t-an.
Participio passato: axé, 7754-£ah, sii nuvish-t-ah.

63. I verbi che al tema di presente escono in s o
sh, mutano in ‘#4 questa s o sk dinanzi al £ del passato.
Temi: sk2rés, conoscere, /urésh, vendere.


<pb n="240"/>
> 21 -<

piplus shinàkh-t-am, io conobbi.

us shindkh-tî, tu conoscesti.

asl skirdkh-t, egli, ella conobbe.

parigyi /urdkh-tim, noi vendemmo.

aiigyi furkh-t-îd, voi vendeste.

Dik furikh-t-and, eglino, elleno vendettero.
Infinito: bl shizdki-tan, ibyzi furikh-t-an.
Participio passato: ib sAzndkh-t-ah, sii gyi furikh-t-ah.

64. I verbi che al tema di presente escono in 2,
innanzi al £ mutano tal 2 in #4. Temi di presente: séz,
fare, farhîz, evitare.

pipL, sékth-tam, io feci.
al sékh-t-î, tu facesti.
ublu sékh-t, egli, ella fece.

pira parhikh-t-îm, noi evitammo.

Dsiadrg parhîkh-t-îd, voi evitaste.

DUI parhîkh-t-and, eglino, elleno evitarono.
Infinito: giblu s464-4-a%, VO parhikh-t-an.
Participio passato: ax>Lw s4£#4-£-ak, BRIIASO 3 parhikh-t-ak.

65. I verbi che al tema del presente escono in #,
mutano dinanzi al £ quest % in s. Temi di presente:
rah, sfuggire, gah, saltare.
pi) ras-tam, io sfuggii.

i) ras-ti, tu sfuggisti.
cu, 7a5-6, egli, ella sfuggì.
im Las-t-îm, noi saltammo.
dui £as-t-îd, voi saltaste.
Vivus Las-t-and, eglino, elleno saltarono.
Infinito: ui) VAS-t-GN, zio bas-t-an.
Participio passato: xtw, ras-t-ah, sio gas-t-ah.

66. La sillaba dr dei verbi che al tema di presente
terminano per essa, innanzi al £ mutasi in dsk. Temi:
dèr, avére, angàr, pensare, stimare.


<pb n="240"/>
3 22 «=

prato dash-t-am, io chbi.
rilo dash-t-î, tu avesti.
unglo dish-t, egli, ella ebbe.
para il angàsh-t-îm, noi pensammo.
da Uti angàsh-t-îd, voi pensaste.
QUeUGI angàsh-t-and, eglino, elleno pensarono.
Infinito: Qrelo désk-tan, gie angàsh-t-an.
Participio passato: arélo déisk-tah, xiualGi angàsh-t-ah.

Nora. — Qualche rara volta questi verbi lasciano inalterata,
anche nel tema del passato, la sillaba dr del tema di presente, e il £
suffisso allora si muta in 4. Così accanto ad QU argdsk-tar
abbiamo anche vj angér-dan.

67. Vi sono alcuni verbi che al tema di presente
escono in ?#x. Questi, che sono veramente pochi, nel
formare il tema del passato elidono la # di îx e aggiungono
immediatamente il £ che in tal caso diventa 4 (23). Quindi
dai temi di presente d/arix, cin, guzin avremo i temi di
passato: éfari-d, ci-d, guzi-d. Questa x del tema di pre-
sente che non comparisce nel tema del passato, corrisponde
al sanscrito e zendo xx della 5° classe dei verbi;
abbiamo infatti dal skr. & il presente c2-x0-m2, np. ci-x-
am, io raccolgo, e dal z. e? il partic. (1424#f, raccogliente,
il ponte Cinvant sul quale passano le anime dei morti.
Cfr. anche il z. kerenzomi (pres.) da £ar, fare; z. curunaoiti
(pres. 3* pers.) da 6%, udire; gr. de/k-w-wi, tema dsx.
Eccone ora gli esempi. Temi di presente: d/ar?a, creare,
tin, raccogliere, guzia, scegliere.

pouyit afari-d-am, io creai.
dz dfari-d-î, tu creasti.
Vas 6i-d, egli, ella raccolse.
piove d-dim, noi raccogliemmo.
dada” guzi-d-îd, voi sceglieste.
did; guzi-d-and, eglino, elleno scelsero.


<pb n="240"/>
> 23 «=

Infinito: vipif afari-d-an, VM> ci-d-arn, VI. guzi-d-an.
Participio passato: sal dparid ‘ah, sdao li-d-ah, sa;
guzi-d-ah.

68. Vi sono alcuni verbi che non entrano nelle
categorie sovrascritte. Tra l’uno e l’altro dei loro temi
corre spesso una gran differenza, e conviene per essi
consultare il vocabolario. Ne daremo qui qualche esempio.

Tema di presente. Tema di passato.
sì, | è, dy od dmad, venire.
us din do did, vedere.
du band uu bdast, legare.
so dik olo déd, dare.
og gard uni gasht, diventare.
pet gir cut girifét, prendere.
du gustl cam” gusist, danneggiare.
gS un oy kard fare.
pi padhir cipade padhiraft, ricevere.
di sipàr Oxa sipurd, consegnare.
ro mir Oy Murd, morire.
khîz cuwlb £4dst, levarsi.
cha Ahvdb ib khuft, dormire.
ghi shumàr Opi shumurd, numerare, ecc.

69. V'è in persiano una forma di congiuntivo per
la 3* pers. sing. soltanto; essa si forma colla desinenza
dd unita immediatamente al tema di presente. Quindi
dal tema #zx fare, si farà kun-dd oLS egli faccia! o
possa fare! , e dai temi: & venire, gr? piangere, g% dire,
avremo 4-y-èd obi egli venga! giriy-dd db egli pianga!
gi y-dd ol, egli dica!

70. La 1°, la f* persona del singolare e la 3° del plurale / © ‘

del tempo passato possono, dopo la desinenza, prendere

talvolta un ? che dà al verbo il significato di condizionale


<pb n="240"/>
>> 24 -«&

oppure il valore d’imerfetto o di tempo indeterminato,
come:

ur pursidam-î, io domanderei, o domandava (tema
di pres. /%75s).
Siri pursta-i, egli domanderebbe, o domandava.

Sira pursidand-îi, essi domanderebbero, o doman-
davano.

IV. VERBI AUSILIARI.

71. I verbi ausiliari persiani sono cinque: pl «2,
io sono; IP bi d-an, essere; ip has-t-an, essere,
esistere; YAd shu-d-an, essere; piulzò khvés-t-an, volere,
desiderare. Questi verbi servono a formare il passivo
e i tempi che mancano nella flessione semplice.

72. Il verbo am (skr. asmz, z. ahmi, antp. amiy)
non ha che il presente:

na pl 27, io sono. cy” w° pal #7, noi siamo.

. sl #, tu sei. y° e îd, voi siete.
pe Kar egli, ella è dl 224, eglino, elleno sono.

uu

In 39 Questo verbo spesse volte si incorpora con la
parola che lo precede, perdendo la | iniziale e ritenendo
la vocale di questa, purchè la parola antecedente termini
in consonante, come e de mard am e poye mard-am,
sono un uomo; gl yu pusar î e Sy pusar-î, tu sei
fanciullo; cal ds 524 ast e ws bad-ast, è cattivo. —
Quando poi la parola antecedente termina in vocale (che
è sempre lunga), la 1 iniziale del verbo e la sua vocale
si elidono, come in dolio 4ir4-nd, sono sapienti, per
dinà and (dinà, lo, sapiente); cus 4-54, egli è, per
cul gl

74. Questo verbo, unito al participio del presente,
forma un altro presente; il participio allora resta invariabile
tanto nel singolare quanto nel plurale.


<pb n="240"/>
> 25

pi ze, io domando.
sl è, tu domandi.
crm AS, : egli, ella domanda.
pa! im, sii pursandak noi domandiamo.
al 4, voi domandate.
Ol 224 | eglino, elleno domandano.

Si noti che il participio precede sempre il verbo ausiliare:
pi sciita dakhshandah am, io sono donante, io dono. —
Questo verbo unito invece col participio passato forma
un trapassato attivo, cioè:

el am, io ho domandato.
sli tu hai domandato.
ul AS, x egli, ella ha domandato.
al ir, Bara? ursidah) roi abbiam domandato.
ul 24, voi avete domandato.
dal and eglino, elleno hanno domandato.

Anche quì il participio precede il verbo: pi sduito
bakhshidah am, io sono avente donato, ho donato.
Nora. — Si noti che la 2° persona gl f, tu sei, quando segue
uno di questi participi, non va scritta integralmente, ma si abbrevia
in é rappresentato nella scrittura da una hamzah « (16, C) posta
dopo la 4 con la quale termina il participio, come: espiw,i pur
sandah-i, tu domandi, sv uw,ò pursidah-i, tu hai domandato, invece

di sl Bold, SÌ BI pd.

75. Il verbo PELI: bd-d-an, essere, ha due temi di
presente: ey» duz-am (21) e nél bésk-am (quest ultimo
è il resto di un antico futuro, cfr. il skr. d4aviskyàmz, io
sarò, dalla rad. 4/42). Il presente 4u2-am o bésk-am, unito
al participio passato, forma un futuro anteriore, cioè:

pi rr buv-am, bàsh-am, io avrò domandato,
il ey dui, bish-î, tu avrai ”
Vil, 0,3 buv-ad, bish-ad, soswsì fegli, ella avrà ,,
pai, per buv-îm, bash-îm, pursidah|noi avremo ,,
Vus, days duv-Îd, bish-td, voi avrete »
del, dopo duv-and, bash-and, |essi avranno ,,


<pb n="240"/>
x 26 -—<<

76. Il passato 64-d-am, unito al participio passato,
forma un piuccheperfetto, come:

por bi-d-am, io aveva domandato.
SÙ bi-d-î, tu avevi »

op bi-d, X egli, ella aveva ”
por bi-d-im, aaa 16 ursidah noi avevamo »
ddp bi-d-îd, voi avevate sr
dog bh-d-and, | eglino, elleno avevano ,,

Infinito: J0w LA VOSE, pursidah bi-d-an, aver domandato.
Participio passato: soy Sidi pursidah bi-d-ah, che
aveva domandato.

77. L'imperativo ottativo o congiuntivo di 3° pers.
sing. di 4%-d-ar è ol,» buv-dd (69), che si contrae anche
in ol béd e lol dida, fosse pure! ulizarm!.

78. Il verbo ji /as-#27, essere, esistere, ha il
solo tema di passato, 44s-f, ma con significato di presente,
come:

piso has-t-am, io sono. pera has-t-îm, noi siamo.

i has-t-î, tu sei. Qui Aas-t-îd, voi siete.

cum has-t, egliella è. = its Has-tand, essi sono.
Questo verbo /astax con gli interrogativi xs £:4, chi?
e x> th, che? che cosa? perde la # iniziale, e le due
vocali si contraggono in ?, come: gua #istî, chi sei?
aims Ristid, chi siete? vamao list, che è? cosa è?

79. Il verbo ga skudar (temi: skav (21) di pres.
shu-d di pass.), essere, serve a formare i passivi. — Col
presente s/4av-21, io sono, preceduto da un participio
passato, si forma un presente passivo. Il participio passato
resta in tal caso invariabile.

però shav-am, io sono ucciso
Sri shav-î, tu sei n

Ono shav-ad, egli, ella è ,,

i shav-îm, axis bushtah | ne; siamo uccisi
duyd shav-îd, voi siete N
Gipi shav-and, eglino, elleno sono ,,

Go gle
<pb n="240"/>
> 27

80. Passato passivo. — Si forma col passato di
shudan.

pò shu-d-ant, io fui ucciso
sie shu-d-î, tu fosti si

di shu-d, egli, ella fu ,,
pres shu-d-im, ntS kushtah | noi fummo uccisi
dude shu-d-îd, voi foste »
did shu-d-and, | essi, esse furono ,,

81. Passato composto passivo:
pi soi sis 4ushtah shu-d-ah am, io sono stato ucciso.
ssd ai kushtah shu-d-ah-t (74, nota), tu sei stato
ucciso, ecc.
82. Piuccheperfetto passivo:
por? sd aut dushtah shu-d-ah bidam, io era stato
. ucciso.
Sp sù ai kushtah shu-d-ah bidi, tu eri stato
ucciso, ecc.
83. Futuro passivo:
prio aus kushtah bi-shav-am, io sarò ucciso.
yi aids kushtah bi-shav-î, tu sarai ucciso, ecc.
84. Futuro anteriore passivo:
pil so ass 4ushtah shudah basham, io sarò stato
ucciso.
il sd sis Aushtah shudah béshi, tu sarai stato
ucciso, ecc.
85. Infinito passivo:
ds suis kushtah shudan, essere ucciso.
Ip sd ari bushtah shudah bidan, essere stato ucciso.
86. Imperativo passivo:
gio ani kushtah bi-shav, sii ucciso.
87. Participio passivo:
nà shavé
ulyd shavàn xvi kushtah, che è ucciso.
sdigà shavandah
sd xvi bushtah shudah, che è stato ucciso.


<pb n="240"/>
> 28

88. Il verbo ili khvastan, desiderare (temi:
khvah di pres. (65), 44vas-t di pass.), col tempo presente
(£hvah-am, io desidero), seguìto da un tema di passato
di un verbo, forma un futuro, come:

dg pols> 4hvdh-am kard, io desidero fare, io farò.

og Sla Ahvdh-i kard, tu farai.
Oy ola khvih-ad murd, egli, ella morirà.
ox pasti khvah-îm murd, noi moriremo.
cs) Qusiia k4v4h-îd raft, voi andrete.
ud) Quolb khvéh-and raft, eglino, elleno andranno.
Questo verbo 4kvéstan, al tempo passato, con un tema
di passato di qualunque verbo, forma una specie di
condizionale:
Oy prufjà khvas-tam burd, io porterei.
Op iulò khvas-t-î burd, tu porteresti.
op culi khvàs-t burd, egli porterebbe, ecc.

89. Questo verbo forma ancora due futuri passivi:
di pirlò sx burdah khvaham shud, io sarò por-
tato, ecc.
de: pietà I) burdah khvastam shud, io sarò stato
portato, ecc.
Quest’ ultima forma è pochissimo usata, e da alcune
Grammatiche non si ricorda.

V.  VERBI DERIVATI.

90. Alcuni verbi zxtrarsitizi diventano ransitivi
aggiungendo al tema di presente la sillaba dx; da ras,
giungere, avremo quindi ras-éx, far giungere, condurre,
restituire, portare, ecc.- A questo tema raséx, che è
tema di presente, si aggiungono le desinenze del presente.
Avremo quindi:


<pb n="240"/>
= 29 -<

Intransitivo: Transitivo derivato:
e) ras-am, io giungo, ecc. pilu ras-an-am, io conduco, ecc.
e) 725, sla rasàni,
du) ras-ad, dl, ras-àn-ad,
| pay aste, pilu, ras-Gn-t74,
di ras-îd, daily ras-Gn-id,
iu, ras-and, dii ras-àn-and.

Con lo stesso metodo si forma il futuro piluzò bi-ras-
àn-am, ecc,; l'imperativo glep bi-ras-Gn, il partic. pres.
sil, ras-an-andah.

gi. Per formare il tema di passato di questi verbi,
al tema di presente si unisce il suffisso 4 per mezzo di
un ? (46), e il # allora si muta in 4 (23); dal tema
quindi rasézx avremo il tema di passato rasdx-i-d:

Intransitivo : Transitivo derivato:
pod, ras-i-d-am, postu, ras-Gn-t-d-am,
io giunsi, ecc. io condussi, ecc.
Sia ras-i-d-i, sl, ras-Gn-t-d-î,
day ras-î-d, i dsl, ras-Gn-î-d,
pid) ras-t-d-îm, perle, ras-an-î-d-îm,
Did, ras-î-d-îd, dada ras-Gn-î-d-îd,
dida, 7as-i-d-and. Oidsilu, ras-dn-i-d-and.

Infinito ydwlu, ras-én-i-d-an; partie. passato sla,
ras-dn-î-d-ah.

92. Le preposizioni preposte ai verbi, come in san-
scrito, zendo, greco e latino, ne modificano il significato.
Nel vocabolario però questi verbi derivati vanno tutti
cercati sotto il semplice verbo, non preceduto da alcuna
preposizione, come si usa nei vocabolarii zendi e sanscriti.
Eccone alcuni esempi: I
Tema di pres. é, venire, pres. 4-y-am2, pass. dmadam (68):
nou andar (dentro) &, entrare, azdar dyam, io entro.

DE béz (indietro) é, ritornare, 5@z dyam, io ritorno.

Ipo bar (sopra) à, sopravvenire, 027 &yarmr, io sopravvengo.


<pb n="240"/>
= 30 -<

loyy® birin (fuori) &, uscire, dirz dyam, io esco.
fis dish (innanzi) è, accostarsi, fish dyam, io mi accosto.
to dar (dentro) è, entrare, dar &yam, io entro.

T0,p furid (giù) &, discendere, /urtd ayam, io discendo.

Tema di pres. 447, avere, pres. dar-am, pass. dash-t-am (66):

glo 3 baz (indietro) dé7, ritenere, ritirare, das daram,
io ritengo.

BIO, bar (sopra) dér, levare, portar via, dar daram,
io porto via.

FICZETÀ Sur (giù) dar, calare, mandar giù, /ur% daram,
io mando giù, ecc.

Nora. — Vi sono inoltre molti verbi composti di preposizioni
le quali, nel neo-persiano, non hanno più alcun significato, perchè
esse si sono tanto incorporate col verbo che verbo e preposizione
sembrano essere una sola parola. Tali preposizioni si riconoscono
soltanto dal confronto col zendo e col sanscrito e col persiano
antico dei Cuneiformi, nelle quali lingue tali preposizioni sono ancora
vive. Eccone alcuni esempi in alcuni temi di presente:

sI duvar, portare, cioè d-var, z. d-bar, skr. d-bhri.
39 P 1
lezò farma, comandare, z. fra-md, skr. pra-mé.
3gì nuvîs, scrivere, antp. wi-fis (polacco pis-mo, scrittura).
Lu paymé, misurare, pehlev. paf-md, z. paiti-m (non usato),
cà, p Va
skr. prati-mà.
j pal amurz, cancellare, perdonare, z. &-marez, skr. d-myig.
iui) mishast (tema di pass.) sedere, z. zis-Aad, skr. mis-sad, ecc.

VI. IMPERSONALI.
93. I verbi impersonali sono due: L 64 (tema di
pres.), cumsl 54-y-7-s-f (tema di pass.), esser necessario,

e Li shké (tema di pres), wuwli ski-y-2-5-£ (tema di
pass.), esser possibile (48, 53). Essi si costruiscono con


<pb n="240"/>
> 31

altri verbi al tema del passato che resta invariabile,
come: do del déyad murd, convien morire; duel dsli
shayad àmad, è possibile che venga. Si possono anche
costruire coi nomi, e allora il verbo che dipende da essi,
va posto nel tempo e nella persona voluti dal senso,
come in dal 0x4 oli skèyad mard mî (particella, 96)
ayad, è possibile che l'uomo venga; 09) e dp dl
bayad mard mî ravad, è necessario che quell’ uomo vada.

VII. PARTICELLE PREPOSTE AL VERBO.

94. Le particelle 62-, 227, kamî, nah, na-, mah, ma-
si prepongono al verbo.

95. La particella 6- si premette al futuro (40) e
all’ imperativo (42). Preposta invece al passato, indica
un’ azione che accadeva in un tempo passato, come in
pit bi-guftam (tema di pres. d £%), io dissi, io dissi
allora, io diceva allora.

96. Le particelle 727 e 4am?, la prima delle quali è
un abbreviamento della seconda, danno al verbo un
significato di continuità; perì e mî pursam e pur? 1°
hamî pursam, io domando, io sto domandando; porri I
mi pursidam e poduri 4° hamî pursidam, io domandava,
io stava domandando.

97. La particella xa%4 o xa- esprime la negazione
non. Nella seconda forma (xa-) si incorpora col verbo,
trovandosi por è nah kardam, e anche por na-kardam,
io non ho fatto. Col verbo pis /astaz, essere (78),
essa perde la % finale e il verbo la # iniziale, contra-
endosi le vocali in ?, come: wi #ÎS7, per cum xò
nah hast, egli non è; prrmadd NISÉM, PET paissd 23 nah

hastîm, non siamo.


<pb n="240"/>
> 32 «<<

98. La particella mak o wma- si prepone soltanto
agli imperativi che prendono così un significato frotbitivo
(z. antp. skr. zed, gr. #7), come: Upi ne mah purs, e
usyt0 ma-purs, non domandare. — L'’imperativo-ottativo
di 6dan, 0g, che è ol bad e lol bédà (77), con
questa particella ma- esprime: non avvenga che, nella
forma di sw ma-béd, 0 ole ma-bada. Segue sempre
in tal caso la particella xS° #4, che, come: xS fol I
Quyrd gi Gy bi-rav, ma-bada kih shiy î (segno del
genitivo, 109) ‘4 6î-rasad; va, non avvenga che giunga
il tuo sposo.

B. DEL NOME.

VIIL DEL GENERE.

99. La lingua persiana non ha distinzione di genere,
ma per lo più esprime il maschile e il femminile con
parole diverse: diy farzand, figlio; po dukhtar, figlia;

3 fusar, fanciullo; 4 £arzîz, fanciulla; ul asp,
cavallo; ylole madiyàn, cavalla.

100. Talvolta, per denotare il sesso, dopo il nome

comune si suol‘porre l’altro nome gì nar, 0 P narr,
maschio, o sole mddal, femmina, come in xi Pe; shir è
(114) zar, leone, e sole ri shîr î (114) madah, leone
femmina, leonessa.

Nota. — Si noti che talvolta alcuni participii passivi arabi
uniti a nomi femminili prendono la terminazione araba del femminile
s ah (propriam. in arabo 8° at), come: )yShw madhkir ar. ricordato,

masc., donde syyShe madikirah, ar. ricordata, femm. — Questa
maniera però è dei libri della tarda età della Letteratura persiana.


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> 33 =

IX. DEL NUMERO.

101. I numeri sono due, s2rgo/are e plurale. Il primo
non ha terminazione propria, il secondo ne ha due, una
per gli esser? animati, l'altra per gli esseri inanimati.

102. Per gli esseri animati la desinenza plurale è
dn, avremo quindi: sliol sidishéh, re, pl pieliol
padishah-dn, i re; SI rg; lupo, al plur. Rita gurg-an,
i lupi; #y° murgh, uccello, pl. pléy murgh-Gn, uccelli.
Se il nome termina in é o in %, tra queste vocali e la
desinenza dx si suol porre una y (21), come: Lio dézéà,

sapiente, pl. ijlblo dézé-y-x, sapienti; Pal Ghù, gazella,
pl.: vba ahi-y-an, gazelle (raramente vl ahuv-dn, 21).
Si eccettua il nome Li x%yà, avo, che al plur. fa 5

nîyàg-an, conservando l’antico £ col quale terminava il
nome al singolare, cfr. z. e antp. zyé£ae e pehlev. xyé£,

avo. — I nomi che terminano in ?, dinanzi alla desinenza
&n risolvono questo ? in 2y (20), come in cs) la darsi,
persiano, pi. glawl parsiy-an. — Se il nome termina

in ah, lA finale mutasi in £ (32); sing. » murdah,
morto, pl. Soy murdag-àn, i morti. — I nome Il
sàl, anno, ha un pl. irreg. IL, saliy-az.

103. Per gli esseri inanimati la desinenza del plurale
è 4a, donde avremo à shahr, città, plur. loygi shahy-
ha. — I nomi che al singolare terminano in 24, contrag-
gono l'A di questa terminazione con l’% iniziale di 44, o
meglio la prima 4 sparisce dinanzi alla seconda; xel>
£amah, veste, pl. Lael> gim-hà, benchè si trovi anche
low dimah-hd.

104. Si noti che queste terminazioni éx ed %é non
si usano sempre regolarmente, trovandosi da ul 459,
cavallo, i plurali luul asp-éx, e Lagul asphé; da 0
dirakht, albero, i è plurali Lio dirakht-hà, e yo
dirakht-an.

3


<pb n="240"/>
> 34

105. Nei libri di assai tarda età si trova anche
una desinenza per i nomi collettivi che è @4, come in
9) zîivar, ornamento, coll. ly) zivar-at. Se il nome
termina in «4, l'A di questa terminazione innanzi alla
desinenza éf mutasi in 2 (32), come in xeb xéma, libro,
coll. «wlsul némag-it, e ssbi £al'ah (arabo), rocca, coll.
wlosli £alag-àt. — Questa desinenza éf è di origine
semitica; cfr. le desinenze femminili plurali semitiche
ebr. éthk, cald. aéhk, sir. oth, ar. dt, e GARCIN DE Tassy,
Grammatre Persane, p. 25.

106. Talvolta i nomi plurali prendono il verbo al
singolare, come p. e. in vawlgl. sé/-/d-sf, sono anni
(alla lettera: anni è, sé/ anno). I nomi al singolare, ma
con significato collettivo, prendono talvolta il verbo al

plurale, come: ddl Lal lashkar Amadand, l'esercito
venne (alla lettera: vennero).

X. DEI CASI

107. Il nominativo non ha terminazione.

108. Il vocativo ha la desinenza é; Leti shaél-a,
o re!, da sli skéA, re. Più spesso si esprime con la par-
ticella (el 27, 0; SCO «sl 2y fadar, 0 padre!

109. Il genitivo si esprime con la vocale ? fra i due
sostantivi (reggente e retto), come in jl4> slà skél #

A

£than, re del mondo. Se il nome termina in è o %, tra
queste vocali e la # si frappone un y, come us shlo
dandy î cin, un sapiente di Cina, da Lio dirà, sapiente;
olte syb baziy è pahlavan, braccio di un eroe, da DO
bazà, braccio. Se il nome termina in «4, questa 7 del
genitivo è segnata dalla hamzah » (16, c), come [da sxo
namah î khudò, libro di Dio, da xel xàmah, libro. —

Nei testi persiani che non hanno, come è generalmente,
le vocali, questa z del genitivo non si nota mai, eccetto


<pb n="240"/>
x

> 35 «

nei casi dubbi, lasciando alla pratica del lettore l’indo-
vinarla.

NOTA. — Sull’origine di questa # che lo Spiegel dice essere un
resto del pronome relativo ya zendo (come in mithrò yò vourugaoyaoitis,
Mithra che ha ampi pascoli, yas4f X, 1), vedi: SPIEGEL, Grammatik
der Parsisprache, p. 52. i

110. Il dativo si indica con la particella ds4, %z- pre-
posta al nome, come in 0,» R-mward, all’ uomo, da xd
mard, uomo. Talvolta esso prende la desinenza xè, come:
}, yo mard rà, all’ uomo.

111. L’accusativo prende la particella 74, come:
poro I, slioL padishah rà didam, io vidi il re. Talvolta
al nome si prepone la particella #47, come slò w mar
shah, regem. Se vanno in accusativo più nomi dipendenti
dallo stesso verbo, il x4 si mette dopo l’ultimo nome,
come: d50p9) } 3, Ds) ul asp u khar u gàv rà
rubtdand, rubarono un cavallo e un asino e un bue.
Se il nome in acc. è seguito da un altro in genitivo, il
rà si mette dopo quest’ ultimo, come: I, sliol gli
poro /arzandîn i pàdishàh rà didam, ho visti i figli
del re.

112. L’ablativo si esprime colla preposizione ;f az
O 3 z:-, da, come p. e. rei shahr, città, abl. e sl az

shahr, yeÉ; zi-shahr, dalla città.

AI. DELL'ARTICOLO.

113. La lingua persiana non ha che l'articolo
indeterminato ? che si pospone ai nomi, come ope mard,
uomo, gd, #4rd-î, un uomo. — I nomi 3» rÎîz, giorno,
—_i shkab, notte, con l'articolo indeterminato hanno un
significato avverbiale, (s; » riz-î un giorno, in un giorno,
die quadani ; ee, shab-î, una notte, in una notte, gxadan

nocte.
3 *



LA da
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> 36 -

XII. DELL’ AGGETTIVO.

114. Gli aggettivi si considerano come nomi e si
uniscono ai sostantivi che essi qualificano, con un î, come
si fa dei nomi in genitivo (109), come p. e. $j sliolL

padishàh 1 buzure, re grande; puo vlrte 2aMavan 7

diltr, eroe coraggioso. — Gli aggettivi si usano al plurale
solo quando abbiano significato di nomi, come p. e:
uybbio dirà-y-dn (102), i sapienti, gli uomini sapienti.
dal sing. dàrà. — Quando invece essi fanno veramente
da aggettivi e il nome, che essi qualificano, è in plurale,
restano sempre invariabili, come in died ubl»>
guoanan è (plur. di guvén, giovane) £hiradmand, i giovani
prudenti.

115. Il comparativo si forma col suffisso fer (z.
antp. skr. fara, gr. repo), come: vug> 4486, bello, comp.
yo khib-tar, più bello. L'aggettivo du 544, cattivo; al

comp. per assimilazione delle due dentali, fa > bdattar
e talvolta anche x bdatar (VuULLERS, lex. pers. s. Ù) invece
del regolare ,5d» 6a4-far. — Il superlativo termina in
tarin, ui khib-tarîn, bellissimo.

116. Nelle comparazioni il comparativo La

dopo di sè la preposizione gl 22, come: Ilo ; Ba.
bizurg-tar az Dàrà, più grande di Darfo. 7a 2°

invece di 31 42 si pone xS kth, che.

117. Il superlativo relativo prende dopo di sè o la
preposizione ;f 42 o la vocale ? del genitivo (109),
come: gloye 31 PI buzurg-tarin az mardàn, il più
grande degli uomini; lobi pit tuvangar-tarîn 1

shahan, il più potente dei re.


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> 37

XIII. DEL PRONOME PERSONALE.

118. Pronomi personali sono i seguenti:

ue man, io. ybl Li md, (miyàn] noi.
gi th, tu. ul la shumb(shumayanivoi.

OIGNNLAZAZZA egli, ella. —ylisl îs4é%, eglino, elleno.
Di questi pronomi le forme gl mayàn, noi, e ublé
shumàyàn, voi, sono usate assai raramente. i

119. Il dativo si esprime con la particella 5%, 554
cioè: geo bàman, a me; pa) 6&ità, a te. I pronomi di
3° pers. sing. e pl. % ed îskéx prendono dopo la particella
6, un d, cioè 14 béd-è, a lui; glo 644-ishén, a loro.

120. L’ablativo si fa con az o 22-, da, come: uu S)
az MAR, 4) zi-man, da me; Le Sì az mà, Ly 21-mà,
da noi.

121. L’accusativo prende la particella rà, cioè hg
% rà, lui, lei, eum, cam; } ulal îshan-rà, eos, cas; lu
I, shumà rà, voi. I pronomi max e #4 dinanzi al ré si
abbreviano in ma-, f-, Ie ma-rà, me; ti tu-rà, te. Questo
rà serve anche per il dativo.

122. Quando questi pronomi sono in genitivo, essi
vanno aggiunti al nome, da cui dipendono, con la vocale
î, come: pe Su sag î man, il cane di me, il mio cane

(vedi: Pronomi possessivi).

XIV. DEI PRONOMI POSSESSIVI.

123. I pronomi possessivi si esprimono ponendo in
genitivo il pronome personale per mezzo della vocale ?
(109) immediatamente dietro al nome reggente, come:
uv ye dadar i man, padre di me, padre mio; Lué ossla
khanah î shumà, casa di voi, casa vostra; Lo ygl0; pi
farzandàn è mà, i figli nostri; ot! gUdò bandagin
(plur. di daxdah, 102) è? îshéx, servi di loro, loro servi;



Bhosa
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Lo sleibo dirakhthèy î (109) mà, i nostri alberi. Si
possono anche aggiungere al nome i seguenti suffissi:

e 27, mio. ma padar-am, padre mio.
w' af, tuo. wyole 226dar-at, madre tua.
ui” ash, suo. Gis oly dirddar-ash, fratello suo.

uybe mn, nostro. gle più khvahar-imén, sorella nostra.
gb. îtàn, vostro. gli sag-îtàn, cane vostro.

ls. sha, loro. uti, eév-ishén, bue loro.

Come si vede dagli esempi addotti, non si fa alcuna
distinzione fra il genere dei nomi; i suffissi suddetti servono
per l'uno e per l'altro genere.

124. Per i nomi al plurale valgono sempre gli stessi
suffissi: ssholr biràdaràn-at, i tuoi fratelli; pista
farzandîn-ash, i suoi figli; las sagàn-ishén, i
loro cani.

125. Questi pronomi-suffissi si trovano anche attaccati
ai verbi, ma con significato di accusativo o di dativo,
non di possesso, come in cà g%ffam-at, io ti dissi;
Ora pursîd-ash, gli domandò; piais kushtiy-am (20),
tu mi hai ucciso; pori pursid-am, egli mi domandò.
(Non si confonda questo fursid-am, 3% pers. sing. pass.
col suffisso -272, con fursidam 1° pers. sing. pass., io
domandai).

NOTA. — Il suffisso -asà talvolta è soggetto, come: Gs girift
ash, egli prese; giu bi-bast-ash, egli legò. Quest'uso è un arcaismo
nel persiano, essendo frequente e di regola nel pehlevico: g#/f-as,
egli disse (Vend. I. 1).

126. Se il nome termina in & o in %, tra queste
‘vocali e il pronome suffisso si pone una y (18, 21), come:
L fé, piede, pal 24-y-272, piede mio; pl; sarò, ginocchio,
vip; zanti-y-ash, ginocchio suo. Se il nome termina
in ?#, questo # dinanzi al suffisso si scioglie in 2y (20),
come in sa zindagini, vita, cl zindagàniy-at,
la tua vita. Se il nome termina in a%, al pronome


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>> 39 <=

suffisso si prepone una | come xeli 2ém4a4, libro, jilaeb
nàmah-ashk, il suo libro.

XV. PRONOMI RIFLESSI.

127. Pronomi riflessi sono: 0y> 44vad e ui3>
khvîsh, se stesso che si usano in tutte le persone, casi
e numeri; khvad-am, io stesso, woyb khvad-at, tu
| stesso, pr khvad-ash, egli stesso, ecc. — Unito al
verbo, si usa senza pronome suffisso; poi 0x5 Ahvad
amadam, io stesso venni; Sh 05 khvad àmadi, tu
stesso sei venuto, ecc. — Posti questi due pronomi dopo
i nomi, indicano proprietà, come 035 ya 442, è khvad,
il proprio padre; j&> got mbdar î khvish, © 0,5 got
médar i khvad, la propria madre. Il pronome 0,5 44024
esprime anche un’ azione che ritorna su chi la fa, come:
d; }, 0g khvad rà zad, battè se stesso.

128. In alcuni libri di tarda ca trovasi anche il
plurale Losa khvad-hà, come: ws: , loo,a
khvad-hà rà barahman sàzîm, facciamoci a: (Libro
del Pappagallo, fav. III); Aid Loo,> ge Hoy nazdik
î shahr i khvad-hà rasîdand, giunsero vicino alla loro
città (74. fav. II.

129. Il pronome 33» 44zîsk (e con esso il com-
posto ici khvîshtan; tan, corpo, persona) servono a
indicar, più generalmente, proprietà: j&39> di}; farzand
î khvîsh, il proprio figlio.

XVI. PRONOMI DIMOSTRATIVI.

130. Pronomi dimostrativi sono: ul dr, quello, quella, -
quelli, quelle, ecc.: Oy ol an mard, quell’ uomo; 6) ol
an zan, quella donna; voy o an mardàn, quegli


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> 40 «

uomini; a ol an zanàn, quelle donne, — e gl in
questo, questa, questi, queste, ecc.: ope în mard,
quest’ uomo, ecc., come per j dr.

131. Si trovano questi pronomi anche al plurale,
purchè non siano seguiti da nomi, cioè: gh andn, Lysi
dnhé; al indn, Leal inhé.

132. Questi pronomi dx ed x, in dativo e prece-

Q duti dalla particella dà (110), assumono una 4, come in
ul dtd-an, a quello, e sd dd-in, a questo.

133. Il pronome uz! 74, dopo le preposizioni, perde

la | iniziale, come in mr bar-in, sopra questo; vyi)0
dar-în, in questo.

XVII. PRONOMI RELATIVI E INTERROGATIVI.

134. I pronomi relativi sono: xS #24, che, il quale,
la quale, i quali, le quali, ecc. per le persone e per le cose,
es ch, che, per le cose. Esempio: I, yla> x lo&
dazi khudà kih gihàn rà défarid, Iddio che creò il
mondo. Nei casi obliqui il #2# prende dopo di se anche
il pronome personale nel caso voluto dal costrutto, come:
poro hi I as 054 mard kih è-rà didam, l’uomo che (che
lui) ho veduto. — Questa—costruzione sembra presa in-——

—puestito. dalle-lingue—semitiche:

135. Pronomi interrogativi sono: xS #24, S £î, ploS
kudîm, chi? per le persone, e x> c#4, che? per le cose. —
Il pronome 4 unito alla particella +é perde la 4 finale

e significa perchè? come: pe eh SO? 3 leo) he ci-rà
rafti u burdî àràm i man? perchè ti sei partito, e hai

portato via il mio riposo? (Firdusi) — Col verbo ius
hastan, essere (78), alla 3* pers. sing. si suol congiungere

questo pronome nel modo seguente: cms Cis", che
cosa è? — Così anche con xf: wu kîst, chi è?;
Gita kistand, chi sono?


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> 4I =

XVIII. NUMERALI.

136. I numeri cardinali sono:

cy yak, 1 sozil panzdah, 15
30 dd, 2 sozslé shanzdah, 16
sw STA, 3 sdio hafdah, 17
Res ghe cahér, car, 4 30/9 hazhdah, 18
pi pang, 5 50; 3ì nézdah, 19
usi shash, 6 cus bist, 20
uo haft, 7 SÌ, 30
nio hasht, 8 de des cihil, Gil, 40
x nuh, 9 sla pangàh, 50
so dak, 10 deo Gad, 100
so;l yazdah, 11 usò duvîst, 200
s0;Î,0 duvàzdah, 12 gl hazàr, 1000
Bozsw SÎzdah, 13 )h9 30 dah hazàr, 10000
10,5 cahàrdah, 14 359 do cad hazéàr, 100000

137. Con questi numerali i nomi ed i verbi si usano
al singolare, come in Quel op so dah gurd amad, dieci
eroi vennero.

138. Gli ordinali si formano dai cardinali aggiungendo
a questi la desinenza -w7%, cioè:

pG yakum, } o pe nuhum, 9°.
caso nskhust, ή* pro dahum, 10°.
po” duvum, 2°. pool yézdahum, 11°.
pr sivum, 3°. peo;l30 duvàzdahum, 12°.
me cahàrum, 4°. PO sizdahum, 13°.
| ps Zangum, 5°. pro)les cahdrdahum, 14°.
pit shashum, 6°. priuano distum, 20°.
prio haftum, 7°. pol dangahum, 50°.
prc hashtum, 8°. piro cadum, 100°.


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>> 42 «<<

XIX. PARTICELLE.

139. Intorno alle particelle, nelle quali comprendiamo
gli avverbi, le preposizioni, le congiunzioni e le interie-
zioni, piuttosto che darne qui una lista, diremo che sarà
meglio consultar per esse il vocabolario. Noteremo
soltanto, riguardo alle preposizioni, che esse, in generale.
si costruiscono col genitivo, come: ,i iu; 2Îsk ? &,
dinanzi a lui; ul r sl az bar î asp, dal di sopra del

cavallo.

Il FORMAZIONE E COMPOSIZIONE DELLE
PAROLE.

I. FORMAZIONE.

140. La lingua persiana ha i seguenti suffissi:

a) Indicano gl: astratti i suffissi:

î REST, distî, amicizia, dést, amico.

a Ls garmà, calore, garm, caldo.

nà \Sii tangnà, angustia, faxg, angusto.

ish slo danish, sapienza, dén in dénistan, inf., sapere.

b) Indicano /uog0 i seguenti suffissi:

stan lisi ghristàn, cimitero, gr, sepolcro (con
Z epentetica per l’incontro delle con-
sonanti; cfr. invece .,luwp 6àstàn,
giardino, 5%, per 54y, odore).

din Jos kalamdtn, calamaio, £alam, (arabo) calamo.

zàr 145 pu/zàr, roseto, guZ, rosa.

shan gesta £ulshan, roseto, gui, rosa.

sàr LuspyS k&hsar, luogo montuoso, #44, monte.

kadah sdkx butkadah, tempio d’idoli, 57, idolo.


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> 43 -<

lakh » cem sanglàkh, petraia, sang, pietra.
gh sl Kors bazmgah, cenacolo, Bam, cena, banchetto.

La

già las 440466, luogo da dormire, #4vé6, sonno.
c) Indicano qualità, ufficio i seguenti suffissi:
bar | ptt payghambar, nunzio, profeta, faygham,
notizia, novella.
gar ua khtdmatgàr, servo, &khtdmat (arabo)
servigio.
gar Kool &hangar, fabbro, élax, ferro.
ban ghil baghbàn, giardiniere, 544, giardino.
dèr glieli nàmdar, famoso, Am, nome.
d) Sono suffissi di provenienza, qualità, somiglianza i
seguenti:

î ci parsi, Persiano, férs, Persia.
anah sleliol pidishéhanah, reale, padishéh, re.
in eeceon sîmîn, argenteo, 57, argento.
înah xi zarînah, aureo, zar, oro.

gin ud dardgîn, addolorato, dard, dolore.
agin Spi sharmagîn, vergognoso, sharm, ver-

gogna.
vàr glad umidvàr, pieno di speranza, md,
speranza.

var yy&olo danishvar, sapiente, déxish, sapienza.
bar plc mushkbér, simile al muschio, muské,
muschio.
mand dieri hunarmand, virtuoso, 4uzar, virtù.
‘nb Veda bhashmndk, îiroso, khashm, ira.
sàr og sharmsàr, verecondo, sharm, pudore
(cfr. b).
fam plibst &tashfàm, del color del fuoco, éfask, fuoco.
gun Rc] abgin, del color dell’ acqua, 46, acqua.
sà Lulu /i/5à, simile ad elefante, #5, elefante.


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> 44 <=

dsà Late ‘anbar-èsà, di color d’ambra, ‘anbar
(arabo), ambra.

sàn glo divsan, diabolico, dîv, demone.

fash o hola shahfash, simile a un re, shdk, re.

vash gl mahvash, simile alla luna, weé4, luna.

dîs Un0)3> khvardîs, simile al sole, #4var, sole.

îr sò dilir, coraggioso, di, cuore.

141. Si noti che alcuni di. questi suffissi sono veri
nomi, come sl gé/, luogo, in slkoo bazm:gàh, cenacolo;
wi gin, colore, in |) Rel db-gtn, del color dell’acqua. —
Altri sono radici di verbi (temi di presente), come in
fol rxAm-dir, famoso, da xàm, nome, e dér tema di
pres. di déskt (66), avere, dîram, io ho, dashtam, io
ebbi. — Altri invece si trovano tali e quali anche nel
zendo e nell’ antico persiano dei Cuneiformi, come îx ed
înah in gore sîm-în, argenteo, e xi3)) zar-înah, aureo;
cfr. i suffissi aéna z. in zaranaéna, aureo, e antp. azza
in éthafigatna, petroso. — Di altri invece non si vede
finora alcuna plausibile spiegazione.

II. COMPOSIZIONE.

142. Si formano nomi composti da temi di passato
di verbi uniti a temi di presente o immediatamente o
per l’interposizione di un #, come it euft-gà e
gru gufti-gà, ciò che si dice, bisbiglio, racconto,
notizia (cfr. e#yam, io dico, gftam, io dissi) Questa #
inserta che graficamente qui si nota come lunga, nel verso
è sempre breve, non essendo altro che la congiunzione
, % (2), e.

143. Un nome qualunque, seguito da una radice
verbale (tema di presente), forma un aggettivo denotante
una data qualità: yissusl ‘46524hsh, donator di corone
(Gakhsh tema di pres. donare; fg, corona).


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> 45 -«

144. Una radice verbale (tema di presente) ripetuta
due volte indica moltiplicità, ripetizione di azione, come:
PI riz-riz, a pezzetti, mirnutatim (rîz tema di pres.
spargere, versare, rompere in pezzi).

145. Aggettivi Sompori si formano con un aggettivo
ed un nome, come in >slu siyal-cashm, che ha gli
occhi neri, (syéà, nero, dashm, occhio); AS £ul-rukh,
che ha guancie color di rosa (£%/, rosa, 74£4, guancia).

146. Si formano anche aggettivi composti con due
sostantivi, come Joynà shîr-4, che ha cuor di leone,
BvuoXéwy (shîr, leone, 420, cuore).

147. Un nome può risultare anche da una particella
e da un altro nome, come: sli pishgéh, prefetto, da

ui42 2ish, prep. avanti, e sl g&h, luogo.

148. Un sostantivo ripetuto, frapponendo una é, signi-
fica varietà, pienezza, come: SU /26-4-/25, fino all’ orlo,
fino al labbro, da 4 45, labbro, orlo; pb ghin-a-
gin, variamente colorato, da dr gin, colore.


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ANTOLOGIA


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IL SHAHNAMEH

o

LIBRO DEI RE DI FIRDUSI

INTRODUZIONE.

Già nel principio della Grammatica Persiana abbiamo
visto come i tre più importanti monumenti della civiltà
iranica siano l’Avesta, le Iscrizioni Cuneiformi e il Libro
dei Re. Di questi monumenti però quello che’ meglio ci
fa conoscere l'ingegno e il cuore del popolo persiano, si
è il Lebro dei Re, senza alcun dubbio; poichè le iscrizioni
degli Achemenidi altro non sono che opera di re che
volevano eternar la memoria del loro nome e delle loro
imprese, e l’Avesta non è che in gran parte lavoro di
filosofi e di sacerdoti, mentre il Zi6r0 dei Re, raccon-
tando con primitiva ingenuità le imprese degli eroi e
dei re dell’ età mitica e favolosa, ci fa intendere quale
stima quel popolo facesse di sè, quale idea egli avesse
del proprio passato e dell’ avvenire che l'attendeva, a
quali fini si credesse destinato, quali affetti più potente-
mente lo agitassero e quali inclinazioni fossero innate
nell’ animo suo. La leggenda epica infatti del Lebro dei

Re è di invenzione popolare, e, conservata per tradizione,
4


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>> 50 -<

fu poi raccolta e vestita di forma poetica da Firdusi.'
In essa pertanto, più che negli altri due monumenti,
abbiamo una fedele immagine dell’ animo e del cuore
del popolo persiano.

L’idea fondamentale dell'antica religione iranica,
quale si desume dall’Avesta e da altri libri posteriori,
come il Burdehesh e il Minokhired, è un eterno con-
trasto fra due esseri essenzialmente opposti tra loro, tra
Ahura Mazdào cioè ed Arira Mainyu, il primo dei quali
è il genio del bene, il secondo è il genio del male;
questi due spiriti o geni nella lingua persiana più recente
portano i nomi, di poco da quelli differenti, di Ormuzd

e di Ahrîman o Ahrimane, opel e erp Cotesta idea
pertanto diede appunto origine alla così detta dottrina
del dualismo; e mentre, secondo l’Avesta e i sacerdoti,
cotesta lotta è di natura tutta morale, nel Libro der Re
invece e presso il popolo trova il suo riscontro in quella
tremenda guerra che arde tra gli Irani e i popoli barbari
che abitano al settentrione dell’ Iran, conosciuti sotto il
nome di Turani. Questa gran guerra poi che, secondo
la leggenda epica, cominciò fino dai tempi mitici, dal
tempo cioè del re Frédùn, anima di sè tutto quanto il
racconto del Zz5r0 de? Re, e altro non è che una im-
magine terrena della gran lotta tra il bene ed il male,
tra Ormuzd cioè ed Ahrîmane. Dalla parte quindi degli
Irani sta Ormuzd con tutta la sua schiera celeste, e dalla
parte degli abborriti Turani sta Ahrîmane co’ suoi Dévi,
i demoni cioè figli delle tenebre, con tutte le arti maligne,
quali la magia, il tradimento, la frode e la menzogna.

Il Zibro dei Re comincia col primo re e primo
uomo che è Gayùmers. A lui succede il re Hòsheng
che è il primo della dinastia dei Péskd4d; e sotto il suo

! Vedi tutta questa parte svolta più ampiamente nel mio Discorso sul-
PEpopea Persiana (pag. 18—80) nei miei Racconti Efici di Firdusi.


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>> SI —{

regno incominciano a trovarsi le prime arti. Al tempo
suo, come pure al tempo dei re Tahmùras e Gemshid,
tutta la terra stava sotto lo scettro di un solo. Gemshid,
perchè, dopo aver inventate molte arti, si levò a superbia
e si volle fare adorare, fu punito da Dio col suscitargli
contro l'arabo Dahàk, crudelissimo tiranno che aveva
sugli omeri due neri serpenti, natigli quivi da due baci
che Ahrimane gli aveva impressi sulle spalle. A Dahàk
che usurpò il trono di Gemshîd e regnò per mille anni,
succedette Frèédùn che incatenò il tiranno in una caverna
del monte Demàvend. Ma quando, dopo queste imprese,
Frédùn volle dividere la terra fra i suoi tre figli e farne
tre regni, nacque discordia tra i novelli regnanti; il minor
figlio Erag fu ucciso dagli empi fratelli Tùr e--Salm; si
accese quindi un’ aspra guerra tra gli Irani :che erano
toccati in sorte ad Erag, e tra i Turani che avevano
per loro signore Tùr, l’uccisore principale dell’ innocente
suo fratello. D’allora in poi i re dell’ Iran trovarono un
potente aiuto nei principi. del Segestàn, il più valoroso
dei quali, che è Rustem figlio di Zàl, con le sue mirabili
imprese fornisce materia di racconto alla maggior parte
dei canti epici. Le discordie poi tra Irani e Turani che
si erano acquetate al tempo del re Minôcihr, quando fu
da lui vendicata la morte di Frag, ritornarono a scoppiare
sotto il re Nevder ed il re Kobàd, che fu il primo della
dinastia dei Aay sottentrata a quella dei Péskadd; e
hanno tregua solo quando il re Khusrev, dopo una terri-
bile e disastrosa guerra descritta con singolare ampiezza
nel Z26ro dei Re, giunge a vendicare con la morte di
Afràsyàb re dei Turani il proprio padre Siyàvish che
quegli aveva ucciso a tradimento. Ma poi, succeduto a
Khusrev il re Lohràsp e poscia il re Gushtàsp, ricomincia
tra Irani e Turani la guerra, ridestata però non già da
sparso sangue, ma da differenza di religione, perchè il

re dei Turani, Argàsp nipote e successore di Afràsyàb,
. 4*



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» 52 -

non vuole accettare la nuova legge che il profeta Zerdusht,
il Zoroastro degli Antichi, aveva rivelato al re Gushtàsp.'
Così, lasciando alcune guerre particolari, come quella
sotto il re Kàvus per conquistare il Mazenderàn, tutto
quanto il racconto del L:6r0 dei Re si aggira per la
maggior parte intorno alla terribile lotta tra Irani e Turani
che si va perpetuando di generazione in generazione, e che,
secondo il popolo persiano, non è ancora finita ai giorni
nostri. I re poi, di cui si cantano le imprese nel Zz6ro
dei Re, sono: Gayùmers, primo re e primo uomo; a
lui succede Hòsheng primo dei éshdéd, e vengono
poscia Tahmùras, Gemshîd, Dahàk l'arabo, che è un
usurpatore, Frèédùn, Minôcihr, Nevder, Zav, Ghershàsp.
Sottentra allora la famiglia dei Kay con Kobàd, Kàvus,
Khusrev, Lohràsp e Gushtàsp. Questi re trovansi pure
ricordati nell’ Avesta coi corrispondenti nomi: Gaya-
meretan, Haoshyanha, Takhma-urupa, Yimò-khshaéta,
Thraétaona, Manuscithra, Naotara (?), Uzava, Keregàcpa(?),
Kavàta, Ugan, Hugravanh, Auravat-agpa, Vistàcpa. Il re
Dahàk del Z26ro dei Re nell’ Avesta invece è ricordato
come un serpente creato da Ahrîmane, col nome di az4z-
dahaka, abbattuto da Thraétaona, nel quale il Burnouf
per il primo ravvisò il re Frédùn della leggenda popolare.*
Col regno di Gushtàsp termina la leggenda epica, ed. il
Libro dei Re passa alla storia di Alessandro Magno,
alla storia degli Arsacidi ed a quella dei Sassanidi, coi
quali si giunge fino al 650 dell’ Era volgare col re
Yezdegerd terzo che perdette il regno e la vita al tempo
che gli Arabi invasero la Persia.

1 Intorno a questa seconda parte dell’ Epopea persiana ispirata da idee
al tutto diverse dalla prima, v. SPIEGEL, Zrdr. Alterth. 1, 659 e segg.

2 SpieGEL, Gramm. der Pérsi-sfrache, p. 195. — MULLER, Leture sulla
Scienza del Linguaggio, 22 Serie, lettura 119.

3 Un ampio sunto del Zibro de Re si trova in: SPIEGEL, Erdn. Alterth. 1,
p. 508—724. — Vedi anche i miei Racconti Epici di Firdusi, p. 94—119.


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> 53 =

Benchè Firdusi vivesse nel decimo secolo dell’ Era
volgare e la leggenda epica che egli ‘vestì di forma
poetica, sia molto più antica, egli tuttavia si mantenne
sempre fedele alla tradizione e non alterò per nulla il
racconto. L’Avesta veramente e il Buxdehesh non narrano
ciò che narra invece il Le6ro de Re, essendo essi libri
di natura religiosa soltanto, ma dai non dubbi cenni che
essi fanno e agli antichi eroi e agli antichi re della
leggenda epica, si può con sicurezza affermare che il
racconto epico quale ce lo ha conservato Firdusi, è quello
stesso che si trova in quei libti più antichi. Per persua-
dersi di ciò basterebbe aprire l’Avesta o il Bundehesh
e confrontarli col Libro de Re' Eppure l'Avesta
almeno precedette di non pochi secoli Firdusi; la
qual cosa ci dimostra che la leggenda si conservò tale
e quale per lungo tratto di tempo e giunse ancora fresca
e genuina al tempo nel quale egli potè darle una
splendida forma poetica. Firdusi pbi dice bene spesso
come alcuni suoi racconti siano venuti a sua conoscenza
solo per la tradizione orale, come quando attesta
apertamente ch’ egli non avrebbe saputo raccontare
la morte di Rustem se non l’avesse udita da un agri-
coltore che si chiamava Azàd-serv e sapeva a memoria
le storie degli antichi re (pag. 1229 dell’ Ediz. di
Calcutta).

Abù ’l-Kasim Firdusi, figlio di Fakhr ed-Dîn Ahmed,
nato nel 940 dell’ Era nostra a Tùs nel Khorassan, si
occupò fin da. giovinetto delle antiche leggende epiche
del suo paese, e già ne aveva verseggiata una buona
parte, allorquando si recò a Ghasna, alla città dalle dodi-
cimila moschee, alla corte del Sultano Mahmdid. Quivi
egli visse per molti anni componendo il xelsli S%ék-

1 Un confronto molto minuto della leggenda epica del Libro dei Re con
ciò che di essa ci ha conservato l’Avesta, trovasi negli Arische Studien dello
SPIEGEL all’art. V. che porta il titolo di Avesta und Skéhnémek, pag. 110-128.


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> 54 -<

nomeh o Libro dei Re, che potè finire nell’ anno settan-
tesimo primo dell'età sua, in sessantamila distici. Calunniato
poi dagli invidiosi cortigiani presso il principe, venne
nella sua disgrazia, ‘e partitosi dalla corte, ritornò alla
sua città natale. Là egli morì nel 1020 dell Era
volgare, nell’ età di ottant’ anni, e morì appunto nel
giorno in cui il Sultano Mahmtùd, pentito della sua
ingiustizia, gli mandava magnifici doni e lo invitava di
nuovo, alla corte. La sua tomba che fu modesta assai,
vedevasi ancora alcune decine d'anni fa non lontano da
Tùs; ma ora in quel liogo il viaggiatore Khanikoff
ha trovato invece un campo seminato di frumento,
senza alcun resto della tomba del più grande poeta
persiano.

La lingua di Firdusi è il puro persiano, non pieno
di parole arabe, mentre tutti gli altri poeti e prosatori
persiani son tanto pieni nelle loro opere di parole arabe,
che quasi potrebbe” dirsi che nel leggerli si viene man.
mano imparando la lingua araba e si ricorda soltanto la
grammatica persiana. Questo vezzo mal inteso di usar
parole arabe non sembra che fosse proprio soltanto degli
scrittori posteriori a Firdusi, poichè troviamo che nel
canzoniere del poeta Minécihri che fu contemporaneo di
Firdusi e visse con lui alla corte di Mahmtd, le parole
arabe abbondano straordinariamente. Ma Minôcihri era
poeta lirico, mentre per l'antica epopea che è tutta di
color nazionale, dovevasi usare la pura lingua persiana;
e si dice che questa fosse una indispensabile condizione
per chi volesse compor canti epici. Si racconta pertanto
che, leggendo un giorno Firdusi alla presenza di Mahmùd
il suo immortale lavoro, giunto ‘a quel punto nel quale
si narra come Rustem ponesse la freccia sull’ arco, recitasse
quel verso che comincia con queste parole: wf «i
pnl /alak guft: ahsan! ;il cielo disse: bene! lodando
l'atto dell eroe. Il Sultano allora l'interruppe dicendo:


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> 55 -«

Come? tu hai parlato arabo in e4saz. — Ma il Poeta
rispose: Non io, bensì il cielo.*

Il metro del Zzbr0 dei Re, come pure di tutti gli
altri canti di natura epica, è il li mulatàrib, cioè:
VIL-]Y£4-|v£4-|W4]|, come in:

glio  ylisò giri zi-guftàr | è dihkén | yakî
da- | -sitàn; con gli accenti sulla seconda sillaba di
ciascun piede.

Quanto alla quantità delle sillabe, basterà riferire
qui ciò che ne scrive lo Schultze nel suo eccellente
Manuale della lingua persiana.*

Sono naturalmente brevi, egli dice, tutte quelle sillabe
che contengono vocali brevi (4, 2, %), lunghe invece quelle,
che hanno vocali lunghe (é, ?î, 4). Una vocale però, breve
per natura, viene considerata come lunga allorquando
sia seguita da più di una consonante, come (ju tai har
fas (-©), ma invece ul haràn (-—); e ;l az man (-=),
ma invece gal az (+); padst nio hat e6lim (--—);
yi maydin (--), ma invece NI o may dr (--);
wd,ò davlat (-0); usi bin shinî ros) adoperato
in poesia per d-nzshizî (n--); cisl b:-sA tdft (- —)
adoperato in poesia per b:-skzfdft (-—).

Vocali brevi finali (a, %), come in sdu; daxdah, in.
cui la 4 non ha valore e la @ precedente è breve, e le
particelle # e x, si allungano talvolta in poesia, come:
sd bandah (- ©), gi tà (»), Si sansla khanah i vay
(ox); joLe, jay aday u mddar (-\=-3).

Le sillabe che escono in ? ed %, quando siano seguite
da una sillaba che cominci per vocale, possono esser
riguardate come brevi, purchè esse sieno risolte in 2y ed
uv, come in quel verso di Firdusi:

1 Zetschrift der Deutsch. Morgenl. Gesellschaft, B. XXX, p. 773.
2 M. SCHULTZE, MHandbuch der Persischen Sprache, p. 42 e segg.


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> 56 —=

o phi sp ila cirà raftî u burdî aràm i
mar, il qual verso che è un Mutakàrib | L-|L_-
vL-|-4]|, va letto così:

cirà raftiy u burdiy àràm © man.

Il gruppo ,> 442 al principio delle parole vale come
una consonante semplice, come in hà; zi-khodb (--).

Per leggere con precisione una poesia, bisogna notare
anche quanto segue. Alla fine delle parole si deve fre-
quentemente, per compiere il verso, aggiungere una
breve vocale ausiliare (7) che non ha alcun significato
grammaticale, come in quel verso di Firdusi:

UG sy re x do lo lundn bud kih Mihràb
î rizi paghh ; la vocale # dopo M4r46 non ha alcun
valore grammaticale, ma serve per compiere il verso. —
La stessa cosa avviene dopo le vocali lunghe anche nel
corpo delle parole, come in quel verso di Firdusi:

Sl uo lis pe magar hamrahîn i guvàn
yéfiti, invece di yéfti. — Talvolta ancora alcune vocali
brevi vanno soppresse, appunto perchè soverchie nel
verso, come in quello di Firdusi:

u bi-sh'khùd i riùy; nel quale si legge br-sh'#%#d per
bi-shukhid, e si trovano due ? brevi dopo 44uriskid e
bi-sh'Ehùd, per compiere il verso.

Nota. — Qui si potrebbe dir qualche cosa sull’ accento; ma
poichè la nostra Antologia, per le ragioni esposte nella Prefazione,
si compone soltanto di canti del Zidro dei Re, così questa parte
diviene qui di minore importanza. Noteremo soltanto che l’accento
non dipende dal valore ritmico delle parole, e che di regola esso
cade sull’ultima sillaba. Fanno però eccezione a questa regola tutti
O quasi tutti i suffissi grammaticali, sui quali non cade mai l'accento,
come in ryoo faddram, mio padre, clo)dle médér-at, tua madre,
Sr pusdr-î, un figlio; nei quali esempi l'accento cade sull’ ultima
sillaba dei nomi yo, y°le, yu. Diremo anzi che questi suffissi,
come abbiamo udito da dotta persona che stette lungo tempo in


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>> 57

Persia, si pronunciano come staccati, onde è» di/-am, il mio cuore,
si pronuncia come 4#/ 472, quasi fossero due parole. Talvolta anche,
specialmente nei verbi, la vocale dei suffissi non si sente nemmeno,
e levo didam-ash, per es., io lo vidi, si pronuncia come didam-sk;
ciò che si trova anche nel Zibro dei Re qualche volta, per ragione
del metro. Le particelle preposte (bi-, #a-, na-, mi-) hanno sempre
accento loro proprio, come parola staccata. — Ma per questa parte
si vegga la Grammatica persiana pubblicata dal Prof. G. De Vincentiis
(p. 29—30), oltre. alle grammatiche del Vullers, del Chodzko, del
Wahrmund e del Barb.

I. IL RE HÒSHENC.

A Gayùmers che fu, secondo il Libro dei Re, il
primo re e il primo uomo, successe il re Hòsheng,
conosciuto nell’ Avesta col nome di Haoshyariha. Tanto
nell’ Avesta quanto nel Mindkhired, egli è celebrato
per aver sterminati i Dévi, i demoni cioè creati da
Ahriîmane. Egli infatti, nell’ Avesfa e precisamente nel-
l'inno alla Dea delle acque Ardvi-gùra-Anàhita (yasà6,
V, 21—-23), è introdotto a pregar la Dea perchè gli conceda
vittoria sui demoni e sugli altri spiriti maligni. «Haoshyanha
paradhàta (v. sotto) onorò lei (la Dea) ai piedi dell’ Hara
(il sacro monte Alburz) con cento cavalli maschi, con
mille vacche e diecimila capi di bestiame piccolo. Ed egli
a lei domandò questa grazia: Concedimi, o buona, o
utilissima Ardvi-cùra-Anàhita, che io sia sovrano signore
di tutti i paesi, dei Dévi e degli uomini, dei maghi e
delle Pairika (esseri maligni femminili, Perî, v. il Vocad.),
dei nemici, dei ciechi e dei sordi; che io uccida due
terzi dei Dévi del Mazana e del Varena, maligni. Tale
grazia gli fu concessa dalla Dea.» Il Miròkkired (in
SpreceL, Gramm. der Pârsispr. p. 135) dice di lui: «E
da Hòsheng venne questa utilità, che egli di tre parti
dei Dévi del Mazenderàn, che nel mondo spargevano la
morte, due terzi ha uccisi» (cfr. di sopra l’Avesta). Il


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» 58 =

Bundchesh non dice nulla di particolare per il re Hosheng:
e il solo Firdusi racconta come egli abbia scoperto Î
fuoco. Gli altri scrittori che parlano di questo antit:
re mitico e leggendario, come Hamzah di Ispàhan
l'Autore del Mugmil ut-tedrith, poco 0 nulla aggiungono
di nuovo.

Firdusi, invece, delle battaglie di Hòsheng coi Devi —
non ricorda che quella col Devo Nero che gli aver
ucciso il padre suo Siyàmek Gavùmers aveva nutriti
e allevato il giovane Hòsheng appunto per vendicar qu
delitto commesso dal Devo. e la descrizione del:
battaglia è data qui nel brano che segue. Si enumert
poi dello stesso re molte scoperte. tra le quali la pi
importante si è quella del fuoco.

Hésheng. figlio di Sivàmek «sec. il Bundehesk p 0
figlio di Fravàk). fu il primo dela dinastia dei Péshdii
in sendo farzgiità, il qual nome nella versione sanseri
del Minsthrraî è reso per piracdrabrit. N Justi ©
traduce per colui che per il primo ha esercitata la leggi
del governare: der seri! das Gesetz des Regina

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“NOTE GRAMMATICALI. — Verso 13 € 14, sulla costruzione del
verbo ausiliare #42dstaz, v. la Gramm. — v. 19, d-dsmén per di-
dsmén. — v. 58, 4-as-dn per Zih az dn. — v. 60, s-i per zi-4,
az-î. — v. 65, si noti qui per sempre che Firdusi ripete spesso le
preposizioni due volte, come qui dar-dn dar, per dar-én. — v. 69,
k-in per Zih în. — v. 72, shkén per fskén, suffisso pronominale, v.
la Gramm. — v. 77, as-& per as è. — v. 78, k-as-é per Zik az è. —
v. 86, girift-ash, qui il suffisso ask fa da soggetto, prese egli,
Gramm. 125, nota. — v. 101, /ur&ghi-st per furilghî ast, è una luce. —
v. 108, déd ottativo di 66427, v. la Gramm. — v. 117, s-îshén per
si-îshan. — v. 120, v-az per % 43. — v. 122, samirast per samir ast;
R-ash per kik ask, al quale.

II. IL RE DAHAK.

Questo re leggendario che nella tradizione epica
figura come un usurpatore del trono iranico, nell’ Avesta
invece e negli altri libri religiosi è rappresentato come
un terribile serpente sotto il nome di az4: dakéka, «ser-
pente esiziale». In essi non si trova alcun cenno come
di un principe, ma soltanto come di un’ orribile creatura
di Ahrîmane, stata poi vinta da Thraétaona, così descritta:
«Egli (Thraétaona) uccise il serpente Dahàka, di tre
bocche, di tre teste, di sei occhi, di mille potenze, pre-
potente, diabolica drug (spirito demoniaco femminino),
nocivo agli esseri viventi, cui, quale la più potente drug,
creò Anra Mainyu (Ahrimane) contro il mondo corporeo,
per la morte di quelli che vivono con santità (yagza IX)».
Secondo il Buxdehesh invece il serpente Dahàka discendeva
per madre da Ahrimane. Esso devastò il mondo per
1000 anni, finchè poi Thraétaona, secondo un’ altra


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>> 64 -&

tradizione, lo incatenò nel monte Demavend. Alla fine del
mondo l'eroe Cama Kerecàcpa (v. più innanzi) gli toglierà
la vita e purificherà così la terra (WINDISCHMANN,
Zoroastrische Studien, p. 19: Just, Mandbuch der
Zendsprache).

Nel L26ro deî Re invece, Firdusi ci descrive Dahàk
come un arabo, figlio di Mirdàs (si noti che anche l'Avesta
riconosce come sede del serpente Dahàka la città di
Bawri, cioè Babilonia, che è paese semitico, yask, 5, 29),
e reo di orribili delitti fino dalla giovinezza. Dei tratti
dell’ antica leggenda Firdusi non conserva che quello dei
due serpenti. Iblis (Ahrimane), trasformatosi in vago
giovinetto, aveva chiesto un giorno al re Dahàk di
potergli baciar le spalle; dato quel bacio, uscirono da
quelle spalle due orribili serpi che egli dovette nutrir poi
di cervella umane. Come poi l’Avesta ci dice che il
serpente Dahàka era stato creato da Ahrîmane per la
morte dei viventi, che sono creature di Ormuzd, così
Firdusi ci fa sapere che Ahrimane, nell’ additar cervella
umane come cibo proprio ai due serpi di Dahàk, ordiva
la morte degli uomini. Anche Firdusi racconta come
Frédùn (il Thraétaona dell’ Avesta), atterrato il tiranno
che gli aveva usurpato il trono, lo abbia poi incatenato
nel Demàvend, in una di quelle caverne.

Il nome zendo dakéka deriva dalla rad. dal, distrug-
gere, ma questo nome, sotto la forma di Ylwo daléf,

fu poi erroneamente interpretato per WÎ so 424 dk, dieci
vizi, o colpe. Gli scrittori Mussulmani, compreso Firdusi,

lo scrivono Wlswé diabhék, facendone, sempre erronea-
mente, un nome arabo «l’uomo che ride», dal verbo ar.
dsrvé dhahîka, ridere. La pronuncia poi Zokék, Zohag,
è assolutamente falsa.

Non v'ha alcun dubbio che la lotta tra Frédùn e
Dahàk, Thraétaona e Azhi-dahàka, altro non sia che una


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reminiscenza dell’antico mito indo-europeo della lotta
tra il sole luminoso e il serpente aereo, la nuvola cioè
nera e gravida di pioggia; cosicchè Frèédùn e Dahàk
corrispondono all’Indra e al Vritra degli Indiani, all’ Apollon
e al Python, all’Herakles e al cane Orthros (d09p0s, Fop9pos,
cfr. Vritra ind.) dei Greci, al Sigurdhr e al dragone
Fafnir dell'’E44a e dei Nibelungen presso i popoli Ger-
manici. Questo mito di Frèédùn e di Dahàk è stato
ampiamente trattato in tutte le sue parti dal Darmesteter
(Ormazd et Ahriman) e dal Bréal (Z/ercule et Cacus); il
Darmesteter anzi (p. 107) osserverebbe che Dahàk, vinto
e incatenato, non muore, perchè egli non è che il serpente,
il demone dell’ uragano, e l’uragano, benchè tante volte
disperso dal sole, si rinnovella tuttavia di tanto in tanto
nel cielo.

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NOTE GRAMMATICALI. — V. 52, fand-af, il pron. af dipende dal
verbo béyad. — v. 61, leggi di-sblis. — v. 65, il verso va letto così:
bi-mdnad bi-gardan-t î (- — —, per di-gardan-at, la vocale î non
ha qui alcun valore gramm.!*). — v. 100. per shinida4 hastam, io
ho udito. — v. 130, dz per cià as. — v. 135, il pron. ask va
riferito a Da4ék sottint. — v. 145, fard4-1 per fardé-at; at dipende
da sézam. — v. 169, Adgat-asttam, un bisogno è a me, ho bisogno. —
v. 182, il verso va letto così: ghami gaskt u az har siy i (- —)
éèrah gust.

III SCONFITTA DI DAHAK.

Occupato il trono dell’ Iran e ucciso il re Gemshid,
il novello principe vede una notte in sogno una orribile
visione che gli svela il futuro. Dahàk sogna di un
principe che un giorno gli toglierà il regno e lo incatenerà
nel monte Demàvend. Egli allora, irrequieto e sospettoso,
va in cerca del predetto eroe per ucciderlo. Questi era
Frédùn figlio di Abtin, il Thraétaona dell’ Avesta, che la
madre sua Frànek aveva nascosto nelle valli dell’ Alburz.
Un giorno, il fabbro Kàveh, al quale il tiranno aveva
uccisi i figli, giunge improvvisamente con una schiera di
eroi a quelle valli solitarie in cerca del legittimo signore
dell’ Iran, gli rappresenta i mali e le sciagure del suo
popolo e lo invita alla riscossa. Frédun, al quale già la
madre aveva raccontato come Dahk gli avesse ucciso
il genitore per farne pascolo con le cervella ai suoi ser-
penti (v. il brano antecedente), si fabbrica una clava che
aveva sulla sommità il capo di una giovenca effigiato in
acciaio, in memoria della vacca Birmàyeh che l'aveva
allattato da fanciullo, e muove contro Dahàk. Giunge


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> 73 -«

alla reggia, ne disperde gli incanti e libera le sorelle del
re Gemshîd che il titanno aveva fatte sue spose. Dahàk
allora era lontano assai; ma un suo fido consigliero,
Kundrav (il Gandareva dell’ Avesta), lo rintraccia, lo informa
di ogni cosa, gli dice che tutto è perduto e che le spose
sue fanno lega col novello signore, Frèdùn, e congiurano
ai suoi danni. A questa notizia egli si riscuote e prende
le armi — A questo punto incomincia il racconto del
brano che si legge qui sotto.

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NOTE GRAMMATICALI. — v. 67, ndsud, per na-dsid. — v. 72,
bi-y-afgand, senza la \ iniziale, Gramm. 41, dal tema di pres. a/gar,
tps. a/gand. — v. 76, v-az-in, per u az-în. — v. 126, è-drad, per
kih Grad. — v. 135, bi-fsid, per di-afetd. — v. 141, il pron. -asà,
dipende da gu:î4.

IV. NOZZE DEI TRE FIGLI DEL RE FREDÙN.

Frédùn, vinto e incatenato Dahàk e riordinato il
regno, stabilisce di celebrar le nozze dei suoi tre figli,
natigli, due da Shehrnàz e l'altro da Ernevàz, dalle sorelle
cioè di Gemshîd che egli aveva sposate. Il savio ed
amorevole padre, il quale non aveva ancora imposto il
nome ai figli suoi riserbandosi a trovarne loro uno solo
allorquando avesse ben conosciuta l’indole di ciascheduno,
desidererebbe tre sorelle di nobile e regia stirpe per
farne le compagne dei figli suoi. Gendel, un suo fedele
e prudente servo, si pone in cerca di un re che vada
lieto di tre figlie quali sono desiderate da Frédùn, e
udendo finalmente che il potente e glorioso Serv re del
Yemen trovasi appunto in tali condizioni, egli si reca a
quella corte e quivi fa la sua proposta. Il re del Yemen
non vorrebbe veramente accondiscendere al desiderio di
Frédùn, ma Frédùn è signore troppo potente perchè egli
possa rifiutarsi di far la sua volontà, e la pena inflitta a
‘Dahàk parla troppo chiaro. Domandato quindi qualche
tempo per riflettere, il re del Yemen si consiglia co’ suoi


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> 79 «

principi, i quali gli fanno profferte di aiuto, caso che
l'occasione lo richiegga, e lo consigliano intanto ad accettar
la proposta di Frédùn, ma bensì con molte e gravi condi-
zioni, per le quali si possa impedir quel connubio o
almeno mandar in lungo le cose. — A questo punto in-
comincia il brano che segue.

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NOTE GRAMMATICALI. — v. 4, éi4 #, va letto come c-# per il
verso. — v. 16, bisogna scandere questo verso così: na-sAdyad zadan
guz bi-farmén-sh i (- — —-, per di-farmén-ash) gàm; sì noti il verbo
skéyad con l'infinito. — v. 27, s4én dipende da dt/, il loro cuore. —
v. 30, bisogna scandere questo verso così: firistam saduk-shén
v——, per sadut-ishén) bar i shéh.i béx; béz è qui postposizione
di firistam. — v. 59, bisogna scandere questo verso così: zubér
résiti rd biy-dràsitah. — v. 70, bikîr dvarad (-— 7, presente di
dvardan, dvaridan; leggendo dvard, sarebbe passato, e il verso
sarebbe sbagliato) mard i dind fusin. — v. 84, k-at, per Rik-at, che
a te. — v. 85, 4-az-în, per £ik az în. — v. 88, il pron. suff. #@r
(per itén) dipende da déyad; così al v. 128. — v. 105, si scanda:
cò as dmadanshîn (--——) shud dgîh i sarv. — v. 107, pish
. regge il pron. s4érn. — v. 119, sAén dipende da dvarid. — v. 120,
shén dipende da Zard. — v. 136, bisogna scandere: 4-as dmikhitan
rang i n-dmad-sh i (-—-, per n-dmad-ask) sid. — v. 138, dad
per l’infin. dédan. — v. 151, si divida: di-dén-gah, in quel tempo;
gah per g8hk. — v. 163, bisogna scandere: cundn shud kih bi-fsurd i
(-— per di-fisurd) hémin u régh. — v. 175, kardan per kard. —

v. 181, sottint. 4/4, che. — v. 197, bisogna scandere: di4-aZ4tar
kasî din kih dukhtar-sh i (- —\, per dukhtar-ash) nîst; così si legga
akhtar-sh i (-—, per a&ktar-ask) nel verso seguente.

V. MORTE DEL RE FRÉDUN.

Il re Frédin, celebrate le nozze dei suoi tre figli, ai
quali, dopo aver fatta prova del valor di ciascuno, egli
aveva imposti i nomi di Salm, di Tùr e di Erag (Ju, ;;5,


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> 87 —«

E pl; si vegga il brano antec.), si determinò in fine a

dividere il regno fra loro. Ma perchè al minore di tutti,
ad Erag, era toccato l’ Iran, la parte cioè più bella del-
l'eredità paterna, i due figli maggiori ne mossero lagnanza
al padre, il quale rispose protestando di aver fatta giustizia.
Erag allora, per acquetare i fratelli, si recò da loro con
l'assenso del padre. Fu egli accolto dapprima con molto
onore, ma poi ucciso da Tùr in un alterco suscitato
appositamente. La testa dell’ infelice giovinetto fu
mandata a Frédùn che, nel suo immenso dolore, giurò
di punire i due malvagi.

Intanto da una sposa di Frag nasceva una vaga
fanciulla .di nome Màh-àferìid, e da questa più tardi,
sposata a Pesheng principe animoso e gagliardo, nasceva
Minôcihr, il Manuscithra dell’ Avesta. Il vecchio Frédùn
allevò il giovinetto con ogni cura, e quando lo vide atto
a trattar l’armi, lo mandò con una infinita schiera di
armati contro Tùr e Salm. -

Da queste discordie tra i figli del re Frédùn e da
questa prima guerra di Minôcihr contro Tùr. e Salm
prende origine la lunga guerra tra Irani e Turani (così
detti da Tùr loro primo signore), che occupa la maggior
parte del Zz6r0 dei Re, e del significato della quale
abbiamo già fatto qualche cenno nell’ Introduzione, in
principio di quest’ Axtologia.

Minôcihr giunge ad ottener finalmente compiuta
vittoria. Dopo avere ucciso Tùr e dopo di lui Salm,
ne manda le teste con una lettera trionfale al vecchio
Frèédùn, annunziandogli così che la morte di Erag è
vendicata. Allora il vecchio re che era vissuto, si può
dire, con quest’ unico desiderio, non ha più nulla da
fare in terra e si prepara quindi a morire. Gli ultimi
giorni del viver suo furono tristi, perchè la memoria
dei tre figli così miseramente perduti incessantemente lo


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tormentava. Onde, designato per suo successore il
giovane Minécihr, dopo cinquecento anni di regno, morì
compianto e onorato da tutti, lasciando bella e gloriosa
memoria di sè.

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NOTE GRAMMATICALI. — v. 8, bisogna scandere così questo
verso: éunîn guftiy dn (--—) nàmi-var (--—) shahriyàr. —
v. 24, ask si riferisce al soggetto stesso che è minziikr del verso
antec., e fa qui da soggetto (Gramm. 125, nota). — v. 29, bisogna
scandere: di-padrid i kardan-sh i (- —\, invece di 4ardan-ask —— “)
raftand i pish. — v. 44, si divida dil-at-rîd. — v. 45, khunuk ( —)
per eccezione, mentre l’ultima sillaba dovrebbe esser breve
(ZAunut — “), seguendo la vocale di dr.


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VI. AMORI DI ZÀL E DI RÙDABEH.

Al tempo del re Minôcihr entra a far parte della
leggenda epica anche la famiglia del Segestàn, i cui
membri erano come gran vassalli del re dell’ Iran, e però
si chiamavano ulHheule> £%dn pahlavin, eroi del
regno, e come tali potevano essi portar corona reale e
avevano il privilegio di dare udienza sedendo in trono.
Questa famiglia discendeva da Gemshid che aveva sposata
la figlia di un re di quei luoghi allorquando, fuggendo
da Dahak, giunse ramingo in quelle parti. Anticamente
il paese chiamavasi 64k4dhî nell’ Avesta e bakhtri nelle
Iscrizioni del re Dario, dal quale ultimo nome i Greci poi
fecero quello di B&xrpa; perchè esso poi fosse chiamato
Segestàn, ciò si spiega per certe invasioni, in tempi storici,
di barbari del Settentrione che mutarono il nome del
bel paese tanto benemerito dei re dell’ Iran (v. i miei
Racconti Epici di Firdusi, p. 59 e segg.).

I principi che appartengono a questa famiglia, sono,
in ordine cronologico, i seguenti: Tùr (figlio di Gemshîd
e di Perî-cihreh, v. sopra; non si confonda questo Tùr
con l’altro figlio di Frédùn; v. i brani antec.5), Shédasp,
Tùrek, Shem, Asrit, Ghershàsp, Nerimàn o Nîrem,
Sam, ZAl o Destàn, Rustem. Quest’ ultimo fu il più
glorioso di tutti, come vedremo appresso. Ire dell Iran
trovarono in questa famiglia di eroi il più valido sostegno
alla loro potenza, nè si presentò mai qualche difficile
impresa la quale, affidata a uno di loro, non ottenesse
esito splendido e felice.

Dei primi eroi contiene ben poche cose, anzi quasi
nulla, il Z:0r0 deî Re. Di Ghershàsp si ricorda sola-
mente una battaglia con Shîrùy; di Nîrem si sa sol-
tanto da un racconto di Sàm che egli morì nell’ assedio
della rocca del Sipend, e de’ suoi antenati non si hanno


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che sparse e incerte notizie. Di Sàm si raccontano molte
e prodigiose battaglie (v. il brano che tien dietro a questo
e il Vocab. alla voce Sém); ma il Lebro dei Re si ferma
più specialmente intorno alla storia intima della sua casa.
Sam, dopo aver lungamente sospirato e chiesto al cielo
un figlio, ne ebbe uno da una delle sue mogli. L’infante
era bello e vigoroso, ma aveva i capelli bianchi. Il padre
allora che credette scorgere in ciò l’opera di Ahrîmane,
lo fece esporre dai servi sul monte Alburz, laddove egli
sarebbe perito se l'uccello Simurgh (v. il Vocab.) per
comando di Dio non l'avesse curato e nutrito. Ma, dopo
alcuni anni, il padre ammonito da una terribile visione, si
pose in cerca del figlio suo che gli fu reso sano e salvo
dal Sîmurgh. i

Il giovinetto, chiamato Zàl o Zàl-zer, cioè vecchzo,
dal padre per i suoi capelli, e Destàn, cioè /rode, dal
Sîmurgh per la mala fede usatagli da Sàm, cresce con
gli anni in ogni virtù nella casa paterna. Il re Minôcihr
lo vuol vedere e lo raccomanda al padre. Ma un giorno
ch’ egli, andando a diporto per i paterni dominii, giunge
sui confini del Kabul, s'invaghisce, al solo sentirne par-
lare, della bella Ridàbeh figlia di Mihràb re di quel paese;
e di qui appunto ha principio il brano che segue. L'amore
però dei due giovani è fortemente contrastato da Sàm
prima, poscia da Minôcihr, perchè Mihràb, padre della
fanciulla, era idolatra e discendeva dall’ empio Dahàk,
che, come abbiamo visto, era creatura di Ahrîmane (v. i
brani antec."). Non era quindi lecito a un eroe d’Irania
far lega con uno che discendeva dal genio del male.

Per maggiori notizie intorno agli eroi del Segestàn,
v. SPIEGEL, Eràn. Alterthumskunde I, 555—573.

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NOTE GRAMMATICALI. — v. 1, il soggetto è Z%/, v. la traduzione
di questo brano in fine all’ Antologia. — v. 22, -asà ha qui il significato
quasi di: c0n/ro di luî. — v. 34, il primo miki è il nome w4, principe,
con l’art. indet.; il secondo è l’astratto, grandezza. — v. 43, il pron.
-ash di hamdnd-sh, per Aamdand-ash, dipende da dmad. — v. 111,

az-n-k-î, per questo che egli; 4-4, per Zi4 #. — v. 124, si scanda:
magar tirah gardad-sh i (-—-, per gardad-ask —— “) s-în dbiriy
(-\V-, per db-riiy — —). — v. 150, si scanda: Ciginah-st (- ——,

per (iginah ast —}——) i cihr u ciginah-st i y@l. — v. 153, il
nome gifî ha qui, sec. l'uso di Firdusi, due preposizioni. — v. 159
e 160 duvad (=), non déd (—). — v. 181, w-rd dat. di #, egli,

ella. — v. 185 e 186, man-id, îd 2* pers. pl. di am, io sono. —
v. 218 v-ar-dn per w ar (per agar) dn. — v. 220, buvad, pres. in
tutti e due i casi. — v. 224, si scanda: zi-car44 i dahérum khir

dyad-t i (per dyad-at) shiy. — v. 232, na-y-arsid. — v. 237, -ask
dipende da 44vdnand. — v. 240, ma-y-drîd, da dvardan. — v. 263, buvi
(V-) da diédan, 2* pers. sing. pres. — v. 273, ma, per méhk. —
v. 282, 4i-y-and, per Zik and, chi sono? — v. 290, n-dramid, per
nah dramid. — v. 301, -ask dipende da dvard. — v. 318, -ask
dipende da #Avdnand. — v. 329, si scanda: di gédi-sk (-——, per
&ddi ash) i pur khvéb u pur (—) dibi-riy (- mv). — v. 337 € 338,
buvad, da bidan. — v. 353, «fén dipende da déyad. — v. 404, bar
è postposizione di sarv i sahi. — v. 466, si scanda: di-ummid i diné
bi-binad-sh î (- — —\, per di- binad-ash ) — ) tihr. — v. 467, -ash,
dipende da gsisk. — v. 476, ast sottinteso. — v. 494, sAud-asti, per
shudah-hasti. — v. 511, dn-ti-t, per én cih at. — v. 601, si scanda:
si-didan-sh i (- — ——) ridébah mi n-Gramid.


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VII. SÀM RACCONTA AL RE MINO€IHR COME EGLI ABBIA
UCCISO UN DRAGONE SUL FIUME KESHEF.

Il racconto che qui fa Sàm (v. il Vocad. e l'Introd.
al brano antec.) del come egli sul fiume Keshef abbia
ucciso un dragone, ricorda uno dei più antichi e comuni
miti indo-europei, nei quali la lotta celeste tra la luce e
le tenebre, tra il sole e l’uragano, vien raffigurata sotto
l'apparenza di una battaglia fra un dio o un eroe, cam-
pione della luce e del bene, e un dragone o un serpente,
rappresentante la nuvola nera e gravida di pioggia.
Quello che abbiam già detto di Frédùn e della sua lotta
con Dahàk (v. il brano II dell’ Ax/o/ogza), si può dire
anche qui di Sàm uccisore di un immane serpente.

L’Avesta, nel quale Sàm è ricordato sotto il nome
di Kerecagpa (v. il Vocab. v. Sém), ricorda pure questa
grandiosa impresa in due punti diversi (yagza 9, 34—-39
e yasht 19, 40). Ecco la traduzione del primo passo
che è il più importante. «Il quale (Keregàgpa) uccise il
serpente Cruvara (cioè: corzzio), ingoiator di cavalli,
ingoiator di uomini, velenoso, di color verdastro, sopra
di cui il veleno verdastro cresceva all'altezza di un pollice.
Sopra di esso Kerecàgpa si cuoceva il cibo in un vaso
di ferro, all’ ora del mezzogiorno. Si bruciò quell’ esizial
(h6 matryò) serpente e balzò; s'allontanò dal vaso di ferro
(nota lo SpiecEL, Avesta- Uebersetzung, p. 72, che il serpente
doveva essere tanto grande che Keregàcpa lo dovette
scambiare con un tratto di suolo verde), per gettarsi nell’
acqua torbida. Alora si ritirò indietro spaventato Ke-
recàcpa d'animo virile» (cfr. DARMESTETER, Ormazd et
Ahriman, p. 213 e segg.)

Firdusi ha fatto di questa battaglia di Sàm una
descrizione veramente dantesca. Ne abbiamo, oltre a quella
francese del Moni, una versione tedesca dello SrieGEL
(Arische Studicn, p. 125); una mia traduzione in versi


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>> IIS -<

italiani trovasi nei miei Racconti epici di Firdusi (p. 507
e segg.) e nella mia Ax/ologia Epica (p. 55 e segg.); e le
immagini fosche e terribili con le quali Firdusi adorna
il suo racconto, ricordano, come giustamente osserva il
Brear (Z7ercule et Cacus, p. 122), le immagini di Esiodo
allorquando descrive il serpente Tifone.

Per intendere qual posto occupi nella leggenda epica
questo racconto di Sam, si sappia che, avendo egli inteso
come Minôcihr si opponesse agli amori di ZAl e di Ràdabeh
(v. il brano antec.), si determinò a mandare alla corte lo
stesso Zàl con una sua lettera per raccomandarlo e cal-
mar lo sdegno del re. In questa lettera il prode guerriero
ricorda a Minôcihr i suoi meriti, tra i quali è quello
certamente di aver liberato il mondo da sì terribile
flagello, quale era il serpente del fiume Keshef.

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invece di rasidam-ash (-—-<). — v. 31, ask dipende da dé

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tashm; s'intenda: ambo i suoi occhi. — v. 40, si legga duza, pres. —
v. 45 e 46, si legga: dahan-sh e zubdn-sh (D—) invece di dahén-
ash e zubéneash (-— 7). — v. 49 e 50, si legga: zafar-sh e gigar-sh
(-—) per safar-ask e gigar-ash (- — 7). — v. 72, am, dipende da
bud (—) per déd (—).

VIII. NASCITA DI RUSTEM.

Dopo molti contrasti e dopo molta resistenza da
parte di Minôcihr e di Sàm (v. il capo VI di quest’
Antologia), dopo che Zàl alla corte del primo, in presenza
dei sacerdoti, ha sostenuto una specie di esame ed è
riuscito felicemente nella prova, viene stabilito il connubio
di Zàl con Rùdabeh figlia di Mihràb, e le nozze vengono
celebrate con grandissima pompa. Ciò però che deter-
mina tanto il re quanto il padre di Zal a dare il richiesto
assenso a quelle nozze, si è la predizione fatta a Minôcihr
dai sacerdoti, che intanto per suo incarico avevano con-
sultato gli astri, di un grande eroe che doveva nascere
da Zàl e da Rùdàbeh, e che sarebbe stato la gloria più
splendida e il più valido difensore della corona dell’ Iran.
Questo grande eroe era Rustem, del quale si descrive la
nascita nel seguente racconto.

Per intender meglio alcuni particolari del racconto
che segue, si noti che Zàl, padre di Rustem, quand’ era
fanciullo ed era allevato sull’ Alburz dal Sîmurgh (v. il
capo VI di quest’ Ay/o/ogta) ebbe da lui in dono una penna
delle sue ali con l'avviso di gettarla nel fuoco quando
egli si fosse trovato in un gran pericolo. Zàl, al momento
del parto di Rùdàbeh, che fu faticosissimo, segue il pre-
cetto del Simurgh che tosto accorre in suo aiuto.

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NOTE GRAMMATICALI. — v. 15, dwad-ast-am; am è pron. sufî.

di 1° pers. s'intenda: è @ me venuto. — v. 21, si divida: di-sang-ast-
ash. — v. 22, si legga dard-st, per dar & ast, è dentro di esso. —


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> 126 -<

v. 35, ask dipende da dmad. — v. 41, si legga bdrdn-sh i (- — —)
per bérdn-ash (-—7) e buvad (- =) per béd (—) in questo e nel
verso seguente. — v. so, za-ydrad da ydristan, non na-y-drad, da
dvardan, e si legga gudhashilan-sh i abr (- — —— —) per gudhashtan-
ash abr (Dv) — v. 53, 4-dvaz, per Zih dvaz. — v. 77 € 78,
si legga ZAastagi-sh e rastagi-sh (-— —) per 4hastagiy-ash e rastagiy-
ash (--- =); bi-y-dléy, imperativo di d/idan. — v. 84, si legga
bi-shgufinad-t î bakht (-- ——<-—) per di-shigufanad-at bakht
(ut) — v. 99, ask dipende da dvarîd. — v. 154, manad

da ménistan, pres., non da méndan. — v. 184, sì legga zindagàni-sh
(-\“— +) per zindagdniyash (--—VV) — v. 193, si legga di
shédi-sh (< ——) per di-shédiy-ash (- —- 7). — v. 207, yal-asti,

da ya! hast, con la terminazione ? di cui parla la Grammatica, 70.

IX. RUSTEM SI RECA AL MONTE ALBURZ PER RINTRACCIARVI
IL RE KOBAD.

Il re Minôcihr, dopo aver vendicata la morte di
Erag (v. i capi antec."), salito al trono alla morte di
Frèédùn, ebbe regno tranquillo, e i principali avvenimenti
del suo regno, furono gli amori di Zàl e di Rùdabeh e
la nascita di Rustem (v. i capi VI e VIII). Egli morì
dopo cento vent’ anni di regno, lasciando al figlio Nevder
(nell’Avesta detto Naotara?) il trono.

Il re Nevder si mostrò ben tosto diverso assai dai
gloriosi suoi antecessori; dice il Z20rx0 dei Re che egli
si occupava soltanto del bere e del mangiare e del dor- .
mire, e che Zal, chiamato dal Nîmrùz in fretta dai
principi scandalizzati della condotta del re, tentò invano
con savi consigli di fargli mutar costume. I. Turani
intanto, questi eterni nemici degli Irani, approfittarono
del momento favorevole e invasero l’Iran, violando i
confini loro imposti da Minôcihr, sotto la guida di Afràsyàb
bellicoso figlio di Pesheng, loro signore. Pesheng di-
scendeva da Tùr, da quel Tùr, figlio di Frèdàn, uccisore
di Erag, stato poi ucciso da Minôcihr in pena del suo
misfatto; nè egli poteva dimenticar l’onta arrecata alla sua


<pb n="240"/>
> 127 =

casa con la morte del suo progenitore, ricordando sempre
che il re Frédùn, nel dividere il regno, aveva fatto torto
a Tùr e a Salm, suoi figli maggiori, per favorir di troppo
il figlio minore Erag, da lui prediletto (v. l'Zrtroduzione al
c. IV). Afràsyab, eccitato così dal padre alla riscossa, viene
a battaglia con gli Irani, ma Nevder è fatto prigioniero
dopo molte traversie, e poi ucciso miseramente da lui. Zàl
allora fa proclamar re il prode Zav figlio di Tahmàsp, detto
Uzava nell’ Avesta, al quale dopo breve regno succede
Ghershàsp. Il regno di Ghershàsp è inerte e debole, e
Afràsyàb minaccia nuovamente ai confini. Zàl e Rustem
comprendon bene che bisogna omai proclamare un re
che abbia vigore ed energia. Tùs e Gustehem, figli di
Nevder, sono valorosi e forti; ma l'aureola luminosa (in
pers. 3 farr) che cinge il capo dei re Irani, non si è
posata fai loro capo, essa invece è trasvolata al monte
Alburz per adornar di sè il capo di Kobàd. Bisogna
adunque ricondurre nell’ Iran da quei luoghi alpestri il nuovo
re, e Zàl, dopo essersi consigliato coi sacerdoti, spedisce
in fretta il figlio suo Rustem, fornito d'armi e scorto dal
suo celebre destriero Rakhsh, al monte Alburz per
rintracciare il. nuovo eletto. Il viaggio di Rustem e il
suo incontro con Kobàd sono il soggetto del racconto
che segue. — Così col re Kobàd succede nel trono al-
l'antica famiglia dei Péshdàd la famiglia dei Kay, di cui
abbiam fatto qualche cenno nell’ Introduzione posta a
capo di questa Ax/ologia (cfr. SpiecEL, Erdn. Alterth. I,
p. 581 e segg.).

questo il punto di dir qualche cosa di Afràsyàb. —
Questo re del Turan, detto nell’ Avesta Fraùrasyan (sec.
lo SprecEL, Avesta- Uebersetzung, II, p. LXIII, da una rad.
hrag, spaventare, cfr. pers. el,» Airds, terrore), è la
copia terrena, si può dire, di Ahrimane. Come Ahrimane
(cfr. Vendidéd, I) non fa nulla di proprio moto, ma tutto
opera per fare una opposizione (z. faztyàra) ad Ormuzd,


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> 128 «=

svelando così inconsapevolmente la sua inferiorità, così
Afràsyàb non muove mai guerra agli Irani se non quando
questi, o per qualche pubblica sventura o perchè il trono
è vacante, si trovano deboli e indifesi. Quando invece
gli Irani sono abbastanza forti, egli se ne sta quieto e
tranquillo nel suo regno, e solo prende le armi, per poi
ritirarsi spaventato e scornato, quando qualche eroe iranio,
Rustem più di tutti, viene a disturbarlo nel suo ozio
forzato. L’inferiorità sua poi di fronte ai re Irani è
espressa anche dall’ Avesta in quel meraviglioso mito,
secondo il quale questo re nemico si tuffò più volte nel
lago Vourukasha per ottener la maestà reale nascosta in
quelle acque e propria dei re Irani; ma essa gli sfuggì
per tre volte, aprendosi nuove vie di scampo, nè lasciandosi
prender da lui quand' egli, deposte le vesti, le correva
dietro gridando (yaskf 19, 56—64).

Vedremo nel seguito di quest’ Axo/ogia molte
altre opere ‘di questo nemico degli Irani e la sconfitta e
la morte che gli toccarono in pena delle sue colpe.

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NOTE GRAMMATICALI. — v. 8, gal w bi-gah, di mattina e di sera,
v. il Voc. — v. 20, yaki gurzah, ecc., è come in abl. assol.: avendo
in mano una clava, ecc. — v. 24, nel braccio molti diventarono
senza vigore e senza potenza. — v. 32, si legga ge2-î, un eroe. —
v. 34, fino ai confini (Zar) del re (d'Irania). — v. 44, Rustem andò
innanzi, cercando il re dell’ Iran (Kobàd), finchè non gli restava che
un miglio di strada per arrivare al monte Alburz. — v. 49, di-
nihédah (per il verso di-nAddah, — — “), che aveva posto, si riferisce
al nav-guvén di sopra che è Kobàd; così si traducono molti di
questi part. passati. — v. 60 gé-! per £-a/, af dipende da skéyad. —
v. 64, ném-var va riferito a Rustem. — v. 82, di-hangàm yèrîi..., nell’
occasione opportuna recheremo a te molto aiuto. — v. 87, dikid-
am, datemi. — v. 92, 44vad va riferito a Rustem, al quale è anche
rivolto il discorso. — v. 107, per pa4/avén, eroe, qui s'intende
Zàl. — v. 132, 4am-at bad, sia a te. — v. 136, per guyandah
(parlante) qui s'intende la lingua. — v. 153, si levò un suono dal
cuore della corda acuta e della bassa (per dire un suono di
strumenti diversi); molteplice fu la gioia, minore (cioè nulla) il do-
lore. — v. 155, quando fu fatto un giro di vino purpureo (cioè:


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quando furono fatte girare una volta le tazze). — v. 168, rasid-am,
venne a me. — v. 172, fayghambarén, nunzi; qui s'intendono i principi
che hanno mandato Rustem in cerca di Kobàd. — v. 187, abl.
assol.: quando vi son io e Rakhsh e la clava e la gualdrappa. — v. 191
e 192, con questa mano e il cavallo sotto di me, chi verrà contro
la clava e la spada mia? — v. 201, Kalîn vide un Dévo (Rustem)
sfuggito ai ceppi. Tahmîùras, uno dei primi re, aveva incatenati i
Dèvi. — v. 207, adm-dér si riferisce a Rustem. — v. 236, dar, presso.

X. BATTAGLIA DEL RE RAVUS E DI RUSTEM COI DÉVI DEL
MAZENDERAN.

Il regno di Kobàd durò cent’ anni, e fu allietato da
una pace conchiusa tra lui e il re dei Turani, Pesheng,
ad istigazione del figlio di quest’ ultimo, Afràsyàb (v. il
c. antec."“), spaventato dai prodigi di valore di Rustem.
Il re:Kobàd ebbe quattro figli, e il primo che fu Kavus
(nell’Avesta Kava Ugan), gli successe nel regno, alla
sua morte. i

Kavus ci è descritto dall’ Epopea come un re
presuntuoso e vanitoso, e di tale ‘indole sua diede
sufficiente prova allorquando, udendo da un Dévo, tra-
sformato in gentil cantore, far le lodi del Màzenderàn,
volle tentar la conquista di quel paese abitato da Dévi,
a dispetto dei principi del regno, e di Zàl specialmente,
che volevano distoglierlo dall’ arrischiata impresa.

Il Màzenderàn, detto nell’ Avesta Màzana, è la
provincia che si stende lungo il Mar Caspio dalla parte
meridionale, e che, secondo la .leggenda epica, era un
tempo abitata da Dévi, sotto i quali va indubbiamente
intesa una popolazione barbarica che anticamente abitava
quei luoghi. La descrizione stessa che Firdusi fa del
loro re, come si vedrà nel racconto che segue, sembra
confermarlo; aveva infatti quel re il pelo crespo, le zanne
sporgenti dal labbro e il capo aguzzo e ritratto indietro;
e recenti scavi fatti nel Mazenderàn fecero scoprire


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alcuni scheletri giganteschi che avevano il capo aguzzo
e i denti lunghi quanto le più piccole giunture del dito
mignolo. A confermar poi la credenza che quei luoghi
fossero abitati da Dévi, s'aggiunge anche la circostanza
della grande abbondanza di sorgenti di nafta in quei
luoghi, le quali spesse volte di notte s’incendiano. Gli
antichi raccontarono già di aver veduto in fiamme il
Mar Caspio; ciò che non poteva avvenire se non per tali
sorgenti che dalle rive circostanti si erano sparse sulla
sua superficie; e questo fenomeno si rinnovò alcuni anni
fa, come si vide dai giornali che ne davano notizia. Di
questo paese pertanto che si. credeva abitato da Dévi,
imprende la conquista il re Kàvus, il quale, accecato poi
e incatenato da essi, riesce a stento a mandare a chieder
soccorso a Zàl e al prode suo figlio. Rustem, incontrando
mille pericoli per la via detta delle Sette auventure (in
pers. yl> rio 44/1 khvan), accorre in suo aiuto, lo
libera e gli rende la vista col sangue del fegato del
Dévo Bianco ch’ egli aveva ucciso. Il Re del Mazenderàn,
quantunque Kavus gli intimi più volte la resa, si rifiuta
costantemente di sottomettersi, e s' impegna quindi tra
le sue schiere e gli Irani la terribile battaglia, descritta
nel seguente capo.

L’Avesta conosce una classe di Dévi detti m4zazaya o
del Mazenderàn; ma non dice nulla di questa spedizione
del re Kavus contro di essi È fuor di dubbio però
che questa leggenda sia molto antica e importante
(SpiecEL, Erdw. Alterth. L p. 591).

Per intender meglio il testo che segue, si noti che
Rustem si era recato dal Re del Màzenderàn con una
lettera di Kàvus per intimargli la resa. Riuscito vano
quel tentativo, i due eserciti si preparano a combattere.

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NOTE GRAMMATICALI. — v. 5, s'intenda: Quando la polvere dell’
esercito si sollevò dal mezzo di esso, il color del sole (lo splendore)
sì OSCurò. — v. Io, non cercò alcun indugio (zar, tempo) nel
tempo del camminare. — v. 24, questi eroi (Giderz e Keshvàd)
erano come un monte di ferro riuniti insieme. — v. 31, aveva nome
Giyà e cercava (giyandah) nome, cioè gloria; — giuoco di parole tra
£iyà e giyandah. — v. 33, col permesso del Re (del Màzenderàn). —
v. 49, solo (ya4î) Rustem volse le briglie. — v. 51, dicendo (sottint.);
shahriyér è vocativo. — v. 64, il nome tuo è via cancellato dai somi
degli eroi. — v. 67 e 68, ti piangerà (2i-giryed — — —) quella che ti ha
partorito; ti avrebbe ella allevato se fosse stata la 4a danneggiatrice?
(cioè: se avesse saputo che allevandoti ti avrebbe allevato per morir

qui per mano mia, avrebbe ella fatto ciò?). — v. 87, as4 dipende
da andékht. — v. 90, si legga ménidand (- — —) invece di mandand
(-—) — v. 157, eran cancellati dai volti loro il pudore, la cortesia
e l'amore. — v. 175, gi4@n-giy è Rustem. — v. 191, soggetto

è il Re del Màzenderàn, come è dimostrato dal senso. S’intenda:
per forza di magia il suo corpo diventò un pezzo di pietra. —
v. 205, era a me tale opinione che (cioè: io pensava che); l’am di
gumdn-am dipende da dud, cioè bid. — v. 209, ask dipende da durd.
— v. 216, miyanah daritn fa come da avverbio: dentro, nel mezzo. —
v. 222, dar è prep. che qui non si traduce; compie soltanto la
relazione espressa da pas i pusht î. — v. 228, bi-gardi, 2? pers.
sing. pres. di gasAfan, ti togli. — v. 231 e 232, quando udì (sogg.
il Re del MAz.), diventò come un lembo di nube (la pietra in cui
stava nascosto il Re del MAz., si convertì in nebbia); sul suo capo
splendeva l'acciaio dell’ elmo e sul suo corpo la corazza. — v. 241,
il re Kàvus si rammenta di quanto il Re del Mz. gli aveva fatto
soffrire (v. l’Introduzione). — v. 256, di-vizkah kasi kik, ad ogni
fedele che. . . — v. 260, géyî, avv.: in un luogo. — v. 266, la
mia fortuna vecchia (decaduta) hai tu ora ringiovanita.


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XI. VOLO AEREO DEL RE KAVUS.

Compiuta la conquista del Màzenderàn, come abbiamo
visto nel capo antecedente, il re Kàvus si prepara ad
una nuova guerra, a quella cioè contro il Re del-
l'Haàmàveràn (nel qual nome lo SprecEL, Altpers. Keslinschr.
p. 223, vorrebbe riconoscere l’Humavarka dell’ Iscrizione
del re Dario) e contro i re d'Egitto .e dei Berberi.
Vinto il Re dell’ Haàmàveràn, egli ne fa chiedere in
isposa la figlia Sùdaàbeh, che gli viene concessa dal padre,
quantunque a mala voglia. Ma il vinto re vuol vendicarsi;
e però fa prendere a tradimento il re Kàvus in un con-
vito e lo chiude in un tetro carcere, laddove è poco
stante mandata anche Sùdabeh. Intesa tale novella,
Afràsyàb (v. l'Zrtrod. al c. IX) ne trae profitto per
sollevare il capo e violare i confini dell'Iran; ma Zàl e
Rustem, ai quali gli Irani ricorrono in così gran pericolo,
pensano che, prima di opporsi ai progressi di Afràsyàb,
convien liberare il re. Così Rustem si reca nel-
l'Hàmàveràn, e, sconfitto quel principe, rende Kàvus a
libertà, che tosto, con l'aiuto di Rustem, ricaccia Afràsyàb
ne’ suoi confini.

Ma la prosperità soverchia inebria e gonfia il re
Kàvus. Egli vuol fabbricarsi un palazzo sul monte Alburz,
dove sia raccolta ogni delizia, e poscia desidera anche di
più; desidera regnare anche in cielo, e imprende un volo
aereo, come si vedrà dal racconto che segue. A questo
punto noi tocchiamo uno dei più antichi miti indo-europei.

La leggenda di un uomo, celebre per i suoi lavori
ingegnosi, che con i suoi artifici sa levarsi a volo nel-
l'aria, è comune agli Indiani, agli Irani, ai Greci e alle
stirpi teutoniche. Incontrasi infatti nei Veg una oscura
allusione ad un Kavya Uganas (cfr. 2. Kava Ugan e
pers. Kàvus), il cui genero a cagione della sua superbia


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precipitò dal cielo (SpreceL, Er. Alterth. I, p. 441).
Nella mitologia greca tutti conoscono il viaggio aereo di

°

Dedalo; e nella germanica è ben nota la storia di
Vélundr, come lo chiama l’E44a, o di Wieland il fabbro
ferraio, come lo dicono i Tedeschi, che, dopo. essersi
vendicato del re Nidudr, si levò a volo lasciando scornato
e dolente il suo nemico (Vé/undarkvidha, in Simrock,
Die Edda, p. 132). Tanto poi il Vòlundr o Wieland
germanico quanto il Dedalo dei Greci, sono rinomati per
la loro abilità in lavorar metalli e in preparar qualunque
sorta di ordigno artificioso. Ora anche questi tratti,
indubbiamente i più antichi della leggenda, ci sono stati
conservati da Firdusi; gli altri fatti che questo poeta
racconta di Kàvus, sembrano più propriamente essersi svolti

BA ella fantasia soltanto del popolo iranico. Vediamo ora
in qual maniera Firdusi ci abbia conservata quella più
antica parte di leggenda.

Premettiamo che l'Avesta non ci ricorda nulla del
volo di Kava Ugan (è questo il nome zendo corrispondente
al Kàvus di Firdusi), e che il Buxdehesk sembra accennarvi
con le seguenti parole, che però potrebbero essere prese
anche in altro senso: «finchè egli (Kàvus) salì al cielo»
(Bund. p. 81). Ma in Firdusi l'abilità di Kavus nei
lavori artificiosi e il suo volar pel cielo gli sono attribuiti
a colpa, e quest’ ultima impresa specialmente ad effetto
di pazzia, mentre tutto ciò forma la gloria di Véòlundr e
di Dedalo. Già lo stesso Firdusi non può celare il suo
stupore al pensare che un re così potente dovesse
costringere i Dévi a lavorar per lui, a fabbricargli un
palazzo sul monte Alburz, laddove doveva essere sempre
primavera e il giorno non doveva mai crescere nè la
notte diminuire (p. 297, ed. Calc... Anche in altre
leggende popolari ritroviamo i demoni costretti o da
maghi o da principi a fabbricar palazzi incantati; ma
qui, secondo la dottrina del Mazdeismo, il valersi


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dell’opera dei Dévi, creature di Ahrimane e abitatori delle
tenebre, non poteva esser riguardato che come opera
empia; onde s'intende come Firdusi, al cominciar della
descrizione del palazzo, si volga al lettore con queste
parole: «Vedi ora qual cosa fece quel re, che operava
di proprio capo» (p. 297, ed. Calc.; così intendo il
)Sui3> 4hvîshkàr del testo, diversamente inteso dai
Vocab."; cfr. phl. 44Avéskkér, qui agit par soi, HARLEZ).
Ma il voler salire al cielo, negato agli uomini fin che
sono in terra, agli occhi dei seguaci del Mazdeismo è
come un voler sforzare l'impossibile, un violar le leggi
del Creatore, un usar delle arti di magia, tanto abborrite
dagli Irani perchè proprie di Ahrimane e de’ suoi Dévi.
In tal maniera si dovette trasformare sul suolo iranico
quest’ antica leggenda indo-europea.

Per intender meglio il seguente racconto, si noti che
esso incomincia allorquando i Dévi sono stanchi delle
fatiche che il re Kavus loro impone, e delle battiture
ch’ egli loro dà per mercede. E già Iblis, uno di essi,
propone di vendicarsi col far credere al re che egli è
destinato a dominar nel cielo.

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NOTE GRAMMATICALI. — Vv. 7, S'intenda: potrà avvenire che
egli svii l'anima di Kàvus. — v. 23, în farr î sibéy i ti S'intenda
come avverb.'*, cioè: per questa tua bella maestà, ecc. — v. 26, sei
pastore e i tuoi’ principi sono la tua greggia. — v. 29, mdnd-ast
per méndah ast. — v. 38, s'intenda: l’anima sua fu allontanata dal
riflettere; se Kàvus avesse un poco riflettuto, avrebbe intesa la frode
del Dévo. — v. 43, ask si riferisce a fz44, Dio, del verso antec.'*;
s'intenda: i mortali (5i-ééra4, oi &ropo:, quelli che son privi di
sostegno) sono sotto il suo comando, essi che sono a/fifti da tur-
bamenti, da guerre e dalle opere di Ahrîmane (v. il Voc. v. patyéraà).
— 45 e 46, Iddio non ha bisogno di nulla, ma per te, 0 uomo,
son necessari il cielo e la terra. È un pensiero del Poeta intromesso
nella narrazione. — v. 55, e ne lasciassero uno 0 due in ogni casa
(per farli allevare). — v. 63, ad ogni suo lato (del trono) furono
raccomandate lunghe aste. — v. 81, intorno a ciò vi sono dicerie
di ogni sorta. — v. 84, così avviene di colui cui prende l’ambi-
zione. — v. 91, il fato per miracolo non l’uccise, perchè molte cose
future egli (il fato) serbava nascoste; Siyàvish infatti (v. più innanzi)
doveva nascere da Kavus. — v. 94, bisognava che Kavus non
morisse, ma ancora per un poco bevesse e mangiasse, cioè vivesse. —
v. 95, in luogo di, invece di grandezza e trono per sedervi, ebbe
KAvus pentimento e dolori, ecc.

XII. BATTAGLIA DEI SETTE EROI CON AFRASYÀB.

Il racconto che segue, non ha molta relazione col
soggetto principale del Zz6r0 dei Re che è la gran guerra
tra Irani e Turani, ma più propriamente dovrebbe chia-
marsi un episodio.

Sette eroi irani, fra i quali Rustem, si recano un
giorno a caccia nei parchi di Afràsyàb, e quivi, dopo
molta preda, si mettono a cena, mentre Guràzeh si pone
in guardia per vedere se Afràsyàb venisse mai a impedire
che gli Irani vadano a caccia nei suoi giardini. Afràsyàb
infatti è avvertito di ciò, e accorre con numeroso esercito.
Guràzeh ne dà l'avviso a Rustem; ma Rustem che stava
bevendo, non se ne dà per inteso e seguita a bere
scherzando e ridendo, non senza scandalo degli altri eroi;


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ma poi si riscuote all'improvviso, corre contro il nemico,
e dopo una delle più grandiose battaglie che ci descriva
l'Epopea di Firdusi, lo mette in fuga.

Evidentemente quest’ episodio è introdotto per far
risaltare il valore di Rustem; egli infatti sembra dapprima
incerto e non curante, per poi riscuotersi e far più assai
di quello che si richiede da lui.

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NOTE GRAMMATICALI. — v. 7 e 8, in 4ug4 e di-dén-gd, è ripetuta
l'espressione: in quel luogo che ...; laddove. — v. 23, di-masti,
per l’ubriachezza, essendo cioè ubriaco. — v. 28, l’apodosi è con
bi-pishim, noi copriremo. — v. 50, in quel piano le gazzelle e i capri
avevano formato (erano diventati, gas/4/24, cfr. yev6pevos) uno stuolo. —
v. 54, soggetto di gas4f (sing.) è cacciatori sott. — v. 78, & si
riferisce a filîyah. — v. 123, asà qui fa come da soggetto. —
v. 130, togliti di qui con questa tua allegria; cioè lascia i godimenti,
poichè si avvicina il pericolo. — 132, è una sola la grandezza del-
l’esercito e della pianura, cioè l’esercito la ricopre tutta quanta. —
v. 161, gli eroi dissero: per noi non v’ è alcun luogo con questo
bicchier di vino (a noi non conviene star qui bevendo, mentre è
vicino il nemico); Iblîs (il genio del male) non può resistere a
te, o Rustem, nel vino (non ti uguaglia nel bere). Nessuno fuor di
te può avere in mano (alla lett.: gli vengono in mano) il vino e
la clava di un sol colpo (v. il Vocad.) nè può star nella palestra della


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>> 176 =

guerra (godere cioè e combattere). — v. 185, es4 è soggetto. —
v. 219 € 220, cominciò 4 rovesciare su quell’ eroe una pioggia di
freccie, onde occupò l’aria come una nuvola di primavera. —
v. 264, io e Ghév e i Turani siamo una turba bastante (noi due
soli contro i Turani). — v. 266, zaenén-and, sono donne i Turani,
cfr. Hom. Zliad. II, 235, Ayeiides odket ‘Ayaior; e Virg. Zneid.
IX, 616. — v. 276, at dipende da di-béyad. — v. 299, shah si
riferisce ad Afràsyàb. — v. 407, dilévar si riferisce a Pîlsem. —
v. 435, egli (Alkùs), quand’ era ubriaco, cercava pure Ghév per
combatter seco, ecc. — v. 480, avresti detto che gli uscisse dal
corpo il cuore (per il timore, per il forte palpitare). — v. 517,
gasktan, volgersi, muoversi. — v. 532, as4 si riferisce ad Afràsyàb. —
v. 557, nessuno sciolse la persona agli uccisi, cioè nessuno frugò sul
corpo degli uccisi per far preda. — v. 580, zi-5é/î, da principio (?);
les temps anciens (MOHL).

XIII. SIYAVISH PASSA ILLESO ATTRAVERSO LE FIAMME.

Dall’ episodio della guerra dei sette Eroi il L26r0
dei Re passa a quello di Sohràb. — Rustem, un giorno,
giunge a Semengàn, città dei Turani, per cercarvi il suo
cavallo statogli rapito dai Turani, e quivi sposa la bella
Tehmîneh che si era invaghita di lui. Da questo matri-
monio nacque un figlio bello e gagliardo, di nome Sohràb,
il quale, giunto alla giovinezza, domanda conto del padre
suo alla madre. All’ intender che il padre suo è Rustem,
egli vuol recarsi tosto nell’ Iran per togliere il regno a
Kavus e darlo al padre suo che egli non ha mai veduto.
Afràsyàb, per i suoi fini, seconda lo spensierato disegno
del giovane, ed egli parte. Nell Iran tutti si spaventano
all’ improvvisa comparsa del prode giovinetto; già la
Rocca bianca (dusw 30, dzh i sipia) è nelle sue mani,

ve Kavus altro non sa fare che ricorrere per aiuto a
Rustem. ll prode guerriero, benchè con qualche tristo
presentimento, accorre tosto, e con l’esercito e con Kavus
muove contro Sohràb, che egli, dopo ripetuti scontri,
giunge a ferire. Il giovinetto, prima di morire, rivela chi


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>> 177 ==

sia il padre suo che egli tanto aveva desiderato e cercato,
non sapendo che il suo feritore è Rustem per l'appunto.
Rustem si dà a conoscere, e Sohràb muore. Col dolore
del misero padre, autore involontario della morte del
figlio, e coi lamenti disperati della madre lontana, termina
il commovente episodio. i

Dall’ episodio di Sohràb l'epopea passa alla più
terribile guerra che sia mai stata combattuta tra Irani e
Turani, e nella quale prendono parte i principali eroi dei
due popoli, e Afràsyàb, in fine di essa, paga con la morte
la pena delle sue colpe. — Siyàvish (nell Avesta
Cyàvarshan e Cyàvarshàna) è il figlio di Kàvus e di
una vaga fanciulla trovata da Ghév e da Tùs in un
bosco, un giorno che essi andavano a caccia per quei
luoghi. Siyàvish fu educato da Rustem nel Segestàn e
poscia ricondotto in corte. Di lui s’invaghisce allora
perdutamente la regina Sùdabeh, la prima moglie di
Kavus (v. l'Zzzrod. al c. XI); e perchè il giovane resiste
al colpevole amore, essa lo accusa dinanzi al re di aver
tentato di oltraggiarla. Ma perchè Kavus non sa risolversi
a creder tanto colpevole il figlio suo, Sùdabeh, fatto
procurare con una bevanda un aborto ad una sua donna
fidata, vuol fargli credere che l’aborto è suo, procuratole
dallo spavento allorquando Siyàvish volle mostrarsi
troppo ardito verso di lei. Kàvus però non sa persuadersi
ancora, quantunque i sacerdoti e gli indovini, esaminato il
feto immaturo, abbiano riconosciuto che esso non è di
sangue regio, ma bensì di donna vile e di bassa origine.
Si ricorre allora ad una solenne prova, e Sùdàbeh e
Siyàvish sono invitati a passar tra le fiamme per provare
la loro innocenza. La prima si rifiuta, ma Siyàvish si
sottomette alla terribile prova, e, passando fra due cataste
infuocate, ne esce illeso. — Così nel Réméyaza (yuddha-
kanda, CI e segg.), Sîtà, la bella sposa di Ràma, per

provar la sua innocenza, salì sul rogo, e così tra noi, nel
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> 178 =

Medio Evo, si ricorreva a questa prova nelle questioni
che non potevano esser risolte dai giudizi umani, creden-
dosi che quello fosse un vero giudizio di Dio.

Ma Siyàvish, benchè proclamato innocente, non può
più restare a lungo nella casa paterna, e chiede e ottiene
l'assenso dal padre di guidar la guerra contro di Afràsyàb
che allora appunto aveva sollevata la testa. — Vedremo
più innanzi le vicende di questa terribile guerra.

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Note. — v. 1, il soggetto del verbo farméd è XAdavus, sottin-
teso. — v. Io, così convien cercar la chiave del male, cioè così
conviene rimediarvi. — v. 11, 4amî 4Akvdst si può ritenere qui come
impersonale. — v. 19, v'era un passaggio (tra le due cataste) tale
. che, ecc. — v. 24, tu avresti detto che notte venne nel giorno
(per il gran fumo). — v. 30, cir i 4kanddn, volto sorridente, si
riferisce a Siyàvish; egli sorrideva e tutti gli altri piangevano. —
v. 36, per gard i na'! intendi la polvere sollevata dai ferri (dallo
scalpitar) dei cavalli. — v. 44, il suo dir parole col figlio fu dolce;
cioè: gli parlò con affetto e dolcezza. — v. 49, 4asf-am, est mihi,
io ho. — v. 50, am dipende da dérad. — v. 131 e 132, tutto ciò
è detto in senso ironico. — v. 133 e 134, Zàl e Rustem erano
stati educatori di Siyàvish, e Siidàbeh pensa che, per una magia


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>> 184 -—<

insegnata dal primo a Siyàvish, il fuoco non gli abbia fatto alcun
male. — v. 135, qui Stidabeh si rivolge direttamente a Siyàvish. —
v. 138, # è riferito a SùdAbeh. — v. 145, quando i camefici si
rivolsero a Sùdabeh per eseguir la sentenza del re, ecc.

XIV. SOGNO DI AFRÀSVAB.

Liberato dalle insidie di Sùdàbeh, siccome abbiamo
visto nel capo antecedente, Siyàvish parte per la guerra
contro di Afràsyàb che in quel tempo aveva risollevato
il capo. Compagno al giovane principe è Rustem, e
l'esito delle armi gli è splendidamente favorevole, tanto
che la città di Balkh, guardata da Garsîvez fratello di
Afraàsyàb, cade in suo potere. A tal notizia Afràsyàb,
cieco per l'ira, raduna nuove forze per correr contro agli
Irani, ma un terribile sogno, quale si legge nel capo
seguente, lo riempie di terrore e gli fa conoscere quale
tristo avvenire lo attenda.

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Nota. — v. 2, cundn-tiin kasi k-én, così come quel tale che,
ecc. — v. 8, l'andamento, la calma della reale maestà (cioè del
re) era turbata. — v. 41, ogni loro lancia aveva per peso (o per
frutto? ; cioè: sulla sommità) una testa. — v. 70, fardgandah, sparsi,
cioè che abitavano qua e là in diversi luoghi del regno. — v. 78,
na-shinavad (letto na-shnavad — << per il verso) ha qui forza di
congiuntivo, anzi d'imperativo. — v. 84, mé5ad qui è collettivo e
sì deve tradurre in plurale. — v. 104, la faccia del mondo sarà
eguale nel colore ad un panno rosso, per il molto sangue. —
v. 106, fddishéh va riferito ad Afràsyàb. — v. 107, # va riferito a
Siyàvish, e s4k@4 ad Afràsyàb. — v. 111 e 112, allora ti verrà in
mente che io ho detto la verità, quando il regno resterà deserto
per la scarsezza degli abitanti. — v. 113, se anche il re (Afràsyàb)
diventasse un uccello con l’ali a zo/are per questo cielo roteante,
non troverebbe scampo dalla rovina che noi gli vaticiniamo.

XV. MORTE DI SIVAVISH.

Spaventato Afràsyàb dal terribile sogno quale abbiam
visto nel capo antecedente, fa pel primo a Siyàvish
proposte di pace con vantaggiose condizioni per gli Irani.


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Queste sono accettate da Siyàvish; e perchè la pace sia
ratificata, Rustem è mandato da lui nell’ Iran dal re
Kavus. Ma il re si adira con Rustem e dopo aspri
rimproveri lo rimanda nel Segestàn; quindi, determinato
a continuar la guerra ad ogni costo, con una lettera
pungente e iraconda ordina a Siyàvish di riprender
le armi. Siyàvish non può mancare alla data fede,
non può ripigliar la guerra, nè ritornare nell’ Iran dal
padre; consigliatosi perciò con Behràm e con Zengheh,
non trova altro modo di salvarsi che col ricorrere
alla generosità di Afràsyàb, cercando un rifugio alla
sua corte.

L'inaspettata domanda eccita grande meraviglia nei
principi Turani; essa tuttavia è accettata con trasportò,
e Afràsyàb spedisce tosto Piîràn incontro al nuovo suo
ospite. Siyàvish si accomiata piangendo dai suoi, e
lasciata una lettera per il re Kàvus, passa il confine ed
è accolto con grandi dimostrazioni di onore da Afràsyàb
e dai suoi principi. Anzi, dopo qualche tempo, lo stesso
Afràsyàb gli dà in isposa, dietro proposta di Pîràn, la
figlia sua Ferenghîs, e con la figlia una provincia da
governare. Quivi Siyàvish edifica la città detta da
Firdusi Aarg-dizh, conosciuta anche nell’ Avesta col
nome di Aaàka. Ma il fratello di Afràsyàb, Garsîvez,
invidioso del favore ottenuto da Siyàvish, recatosi un
giorno alla nuova città, dipinge poi, al suo ritorno presso
il fratello, il nuovo ospite, anzi ora genero di Afràsyàb,
come uno che voglia farsi forte e potente per invadere
il dominio del Turan. Afràsyàb, aggirato da Garsîvez
e da altri perfidi consiglieri, fa prendere il giovane
principe e lo condanna a morte. Anche l’Avesta conosce
questo fatto, e designa Siyàvish (Cyàvarshan) col quali-
ficativo di 2zr6gata,' cioè ucciso per violenza (yaské, 9,

18; 19, 77)


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Il seguente racconto incomincia allorquando la misera
Ferenghîs, udita la condanna dello sposo, cerca di
impetrargli, ma indarno, grazia dal padre.

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Note. — v. 1, quando Ferenghîs udì le parole del padre che
condannava a morte Siyàvish. — v. 15, sAd4 si riferisce a Kàvus. —
v. 16, di-ménd, abbandonò. — v. 20, mérad, che voglia rimanere,



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abbia desiderio di vivere regnando. — v. 25, 4ar-4é, ambedue, cioè gli
oppressi e gli esaltati dal destino, v. sopra. — v. 38, n-andîskad,
n- per n2-, pres. di andishidan. — v. 44, molto ti ricorderai un giorno
dei detti miei. — v. 45 e 46, non sei (î di sk#44r-î) alla caccia, perchè
tu possa credere di uccidere un onagro (uccidendo Siyàvisk) o di
turbare le gazzelle. — v. 56, si scanda: sifa4d4r i rd ( -——-—-)
béb i pandéshiti (-—— —), tu (o Siyàvish) stimasti tuo padre il re
di Turan (che ora ti vuol far morire). — v. 58, 4ug4, dove mai?

ecc. — v. 73, avessi io perduti gli occhi, non avrebbero essi veduto,
ecc. (didah è collettivo). — v. 75, come mai poteva venire in me

dal padre questa previsione che, ecc. (umiîd, speranza, è qui nel
senso del gr. #Am/, che ha significato di speranza in bene e di
previsione di sventure). — v. 82, il re forsennato forò l'occhio della
prudenza, cioè il furore vinse il senno. — v. g1 e 92, conducetelo
in un luogo laddove egli non trovi nessuno allorquando dirà: chi
è il mio soccorritore? — v. I10, possa tu esser sempre vivo nel
mondo, (così significa questa frase molto strana). — v. 113, 5éd-am
umid, erat mihi spes. — v. 115, le parole che seguono al 454 di
questo verso, sono parole di Pîràn ripetute da Siyàvish. — v. 117,
ciù bar gardad-at riz, quando si muti per te la sorte. — "v. 123, si
legga: w az (- —). — v. 129, pil i shiyén, benchè strana assai l’espres-
sione, non può riferirsi che a Siyàvish. — v. 132, asà va riferito a
Siyàvish. — v. 141, quando dal cipresso (Siyàvish) fu separato
il sole (cioè la vita), — v. 143, édi4 #kvabî Hb, che sogno mai!
che anzi, ecc. |

XVI. RINVENIMENTO DI KHUSREV.

Ucciso Siyàvish, Afràsyàb già stava per condannare
a morte anche la figlia sua Ferenghîs moglie dell’ ucciso,
allorquando sopraggiunge Pîràn a liberarla. Afràsyàb cede
alle sue istanze, e Piràn conduce la misera donna nel
Khoten, laddove ella dà alla luce un figlio al quale viene
imposto il nome di Khusrev. Ricordandosi allora di una
antica profezia, Afràsyàb fa consegnare il fanciullo ad
alcuni pastori che abitavano il monte Kalù, perchè egli
vi cresca dimenticato e lontano dalla corte. Accertatosi
poi che egli non ha nulla a temere dal giovinetto, lo fa

rendere alla madre che lo va allevando con ogni cura.
13*


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>> 196 ==

Intesasi nell’ Iran la morte di Siyàvish, un desiderio
di vendetta entra nell’ animo di tutti. Rustem, accorso
dal Segestàn, uccide l’empia Sùdabeh, cagione di tanta
sventura, invade il Turan col figlio suo Feràmurz, mette
a ferro e a fuoco quel paese e ritorna nell’ Iran. — Ma
prima di vendicar la morte di Siyàvish, è necessario
rinvenirne il figlio. Nessuno però conosce dove egli sia.
In tale incertezza, l'angelo Seròsh, apparso in sogno
a Gtderz, lo informa del luogo nel quale Khusrev vive
nascosto. Giùderz, destatosi al mattino e raccontata la
visione, con l'assenso del re spedisce il figlio suo Ghév
in cerca del giovane principe. Ghév per sette anni va
errando per il Turan senza averne alcuna notizia, finchè
poi lo ritrova vicino ad una fontana, come si vedrà nel
racconto che segue.

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Note. — v. 1, il soggetto di rg/f è Ghév sottinteso. — v. 6,
il verbo 44vard ha qui tutti e due i suoi significati, e il verso va
tradotto: ora mangiava erba, ora beveva acqua torbida. — v. 9, da
questo verso al v. 21 si spiega in qual modo Afràsyàb avesse fatto
rendere il piccolo Khusrev alla madre sua Ferenghîs, ed è questa
come una breve digressione dal racconto. — v. 12, digar bérak
tirdn bi-gang émadah è un inciso; era allora il Turan per un’ altra
volta in guerra (per Rustem; v. l'Znfrod.). — v. 34, pahlavàn qui
designa Giderz che aveva visto il sogno (v. l’/n#rod.). — v. 40, il
cielo ha rivolto (lett. ha versato) su di me una fortuna tortuosa (il
senso del verso è questo, ma la costruzione gramm. è incerta e
oscura). — v. 50, eravi un giovinetto, ecc. (Khusrev). — v. 63, il
nodo fu sciolto del suo dolore (lett. per [3ar dar i] il suo dolore). —
v. 80, Ciginah ast si legga digina-st (- — —). — v. 85, dar-dn-am, io
sono su ciò, cioè sono certo di questo. — v. 88, 454, chi mai? — v. 93,
gushddî è 3* pers. sing. pass, (soggetto Siydzisk, sottint.). — v. 95 e
segg., qui è soggetto 2442, (Siyàvish) del v. 92, e il discorso che
comincia con az idar éih dyad, è posto in sua bocca. — v. 105,
i re Kay, da Kobàd-in poi, avevano un neo sul braccio in segno
di loro origine reale. — v. 115, s4a4ryér (Khusrev) qui è soggetto. —


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v. 128, 6-dtash per bi-dfash. — v. 139, il sogno di Gtiderz, v.
l'Zatrod. — v. 141, gli anni avevano tolta a KAvus la maestà (v. il
Vocab. v. far, farr). — v. 142, pusar va riferito a Siyàvish. —
Vv. 143, 2ardgandah, disperso, sbandito.

XVII. EPISODIO DI BEHRAM E DI TEZHAV.

Reso quasi miracolosamente e dopo molti stenti
Khusrev all’ avo suo Kàvus nell’ Iran, non si pensa più
che a vendicar la morte di Siyàvish. Qui omai incomincia
la lunga guerra tra Irani e Turani alla quale abbiamo
accennato nell’ Za/roduzzone al c. XIII di quest’ Axdologia.
Un immenso esercito è mandato da Khusrev contro di
Afràsyàb sotto il comando di Tùs; ma la guerra non ha
prospero successo per gli Irani tanto che Khusrev è
costretto a togliere il comando a Tùs ed a sostituirgli
Feriburz figlio di Kavus. Tra i molti fatti di questa
prima parte della guerra scegliamo soltanto il bell’ episodio
di Behràm e di Tezhàv, col quale potranno porsi a con-
fronto, se non erriamo, due altri episodii dell’ //zade
e dell'Exezde. Behràm, dopo una sanguinosa battaglia,
detta la battaglia di Làden o di Peshen, in cui gli Irani
hanno avuta la peggio, vuol recarsi, la sera, nel campo
di battaglia a cercarvi una sua sferza che vi aveva per-
dluta, e quivi incontra la morte per mano di Tezhàv.

Si noti che in questa prima parte della guerra Khusrev
««l Afràsyàb non discendono in campo, ma lasciano il
comando ai loro capitani, il primo a Tùs, poscia a
l’eriburz, il secondo a Piîràn.

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Note. — v. 5, Behràm, nella battaglia del giorno antecedente,
aveva portata via con la lancia una corona reale che ornava il capo
del giovane Révnîz figlio di Kàvus, caduto in quella battaglia, e
per la quale era nato accanito contrasto fra Irani e Turani, come
nell’ Ziade per il corpo del morto Patroclo. — v. 22, man na-y-am,
io non sono. — v. 23 e 24, essendo possibile morire a4 ogni
istante allorquando venga il tempo, perchè si dovrà pensar tortuo-
samente? mostrarsi cioè paurosi? — v. 28, due sferze hanno il
manico, ecc. — v. 38, gli Irani erano stati sconfitti (v. l’/a/rod.). —
V. 41, guft, detto; soggetto, argomento di discorso. — v. 52, per
quel dolor del cuore, c4è #a/e è la sorte degli estinti (di lasciar cioè
dolore di sè nei superstiti). — v. 59, dirddar è collettivo; la maggior
parte dei fratelli di Behràm era morta in quel giorno, combattendo. —
v. 62, franco dell’ anima, cioè ancor vivo, benchè ferito di spada. —


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v. 73, m-andisk, per ma-andîsh. — v. 74, questo è un perire per non
essere fasciata la ferita. — v. 77 e 78, liberò uno dal perdersi, ma
non conobbe il secreto della propria rovina. — v. 90, appena

Behràm fu sceso di sella, si sentì un nitrir di cavalle in lontananza,
e il suo cavallo fuggì dietro quel nitrito. — v. 109, sar-#askér sono
Turani che s'accorgono della presenza di Behràm. — v. 112, paX/avdn
qui è Pîràn. — v. 132, il fato cesserà dal governarci. — v. 141,
soggetto di di-4kasf è Behràm. — v. 143, pa4lavén è Pîràn, al quale
ritornano i Turani spaventati. — v. 153, questo si riferisce al tempo
in cui Siyàvish trovò ospitalità presso i Turani. — v. 172, se no,
la battaglia è per me finita tutta in una volta, cioè tutto è finito per
me. — v. 213, di-mdén, lascia qui (imperat.). — v. 232, mancano
qui alcuni versi coi quali si narra come Tezhàv, fatto il colpo, ritor-
nasse tra i suoi. — v. 277, lo trasse a sè bruscamente, voltando le
spalle. — v. 295, 5i-gén, qui non significa morto, ma svenuto. —
v. 298, ‘u&dbi, tu sei (f#) un’ aquila. — v. 310, déd-am. — v. 324,
ask dipende da na-béyad. — v. 335, si allude a fatti antecedenti,
. allorquando quasi tutti i fratelli di Behràm caddero sotto ai suoi
occhi, nella battaglia di Peshen. — v. 340, asà dipende da di-5éyad. —
V. 343, asà sì riferisce al morto Behràm.

XVIII. PUNIZIONE DI AFRÀSYAB.

La guerra contro di Afràsyàb, nella quale da principio
gli Irani avevano sempre la peggio, termina poi finalmente
con la sua sconfitta. Caduti i più prodi guerrieri da
ambe le parti, a Khusrev e ad Afràsyàb non resta più
che discendere in campo, e in persona decidere le sorti
di sì lunga e disastrosa guerra. Afràsyàb, vinto e abban-
donato da tutti, fugge solo e si nasconde in una caverna
di un monte solitario. Khusrev e il vecchio Kàvus, dopo
aver licenziati con ricchi doni i loro prodi, si consigliano
sul da farsi, perchè Afràsyàb non si sa dove sia e po-
trebbe darsi che egli tornasse all’ improvviso e ripigliasse
le armi. In tal dubbio, essi si recano vestiti di candide
vesti al tempio di Adher Gashasp (v. il Vocad.) nel-
l’Adherbigiàn per domandar' consiglio a quel sacro fuoco,
protettore di Khusrev.


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Intanto un pio uomo, Hòm, della discendenza di
Frédùn (v. il Vocab.), passando per caso dalla caverna
dov’ era nascosto Afràsyàb, ode i suoi lamenti. Egli vi
entra all’ improvviso e lo lega con un laccio. Ma il
vinto re, fattosi rallentare con preghiere i nodi, sfugge
ad Hòm e si nasconde nelle acque del lago Khangest o
Cicest, detto caécagta nell’ Avesta. Hòm allora, incontra-
tosi con Giderz per caso, gli racconta ogni cosa, e
Gùderz corre al tempio ad avvertirne Kàvus e Khusrev,
che tosto si recano sulle sponde del lago. A questo
punto incomincia il racconto che segue.

Anche l’Avesta conosce questo fatto, allorquando
introduce il genio Haoma (quello che Firdusi, sotto il
nome di Hòm, ci rappresenta come un pio uomo, ed è
nellAvesta il genio della pianta 4aoma dalla quale si
estraeva la sacra bevanda, v. il Vocad.) a pregare diverse
divinità perchè gli concedano di far prigione Frariracyan
(Afràsyàb), nascosto nelle acque del lago. «Concedimi
(dice Haoma) questa grazia che io possa legare il sangui-
nario turanio Franragyan, che io lo conduca via legato, e
legato lo tragga come prigioniero del re Hucravanh
(Khusrev). Possa ucciderlo Kava Hugravarih presso il
lago Caécagta, profondo, dalle ‘ampie acque, egli, il figlio,
in vendetta (#aérè, su questo passo v. SPIEGEL, Artsche
Studien, p. 118; e Zetschrift der D. M. Gesellschaft,
XXXII, p. 310) di Cyàvarshàna (Siyàvish), dell’ uomo
ucciso per violenza (yaskf 9, 18; 17, 37 e 38, ecc.)».

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NoTE. — v. 1, skéién sono Kavus e Khusrev. — v. 6, di
diyam panék, in lui è a me rifugio. — v. 11, sAék i nav, nuovo
re, è Khusrev. — v. 14, #4, allorquando. — v. 23, dar, propter. —
v. 24, éik, anzi, oltre a ciò. — v. 28, dar-&, dentro, cioè dentro
la caverna. — v. 29, ask dipende da di-basfam. — v. 34, nelle
acque del lago (v. l'/nzrod.). — v. 55, ask è soggetto. — v. 85,
nipote di Frèdùn e figlio di Pesheng è lo stesso Afràsyàb, che qui
parla in 3° pers. — v. 87, i due principi sono Kàvus e Khusrev. —
v. 88, parastandah è Hòm. — v. 102, per il sogno di Afràsyàb
che gli fece conoscere la sua rovina, v. il c. XIV di quest
Antologia. — v. 103, trasse in lungo (tardò) il cielo. — v. 109, si allude
ad Aghréras (z. ag4raératha) fratello di Afràsyàb e da lui ucciso. —
v. 111, Afràsyàb uccise anche il re Nevdher che discendeva da Erag,


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v. il c. IX di quest Anzo/ogia. — v. 125, la madre di Khusrev è
Ferenghîs figlia di Afràsyàb. — v. 135 e 136, un pastore, allor-
quando ha preso un lupo divoratore, se lascia vivo il lupo, non
può esser mai sicuro. — v. 146, dirddar è Garsîvez, altro fratello di
Afràsyàb, che aveva ordita la morte di Siyàvish, v. sopra. — v. 147,
soggetto di 444 è Khusrev. — v. 156, la tazza nella quale fu ver-
sato il sangue di Siyàvish, v. il c. XV, v. 131 di quest’ Anso/ogia. —
v. 168, fan é shah, il corpo del re, cioè di Afràsyàb. — v. 173,
soggetto del verbo è Khusrev.

XIX. IL RE KHUSREV SALE AL CIELO.

Vendicata con la morte di Afràsyàb l'uccisione di
Siyàvish, Kàvus muore poco dopo grave d’anni e stanco
di vivere. Khusrev che gli succede nel trono, ha un
regno pacifico. Posto nel Turan a regnare il figlio di
Afràsyàb, di nome Gihn, egli si dedica a pratiche di
religione in un luogo appartato, immerso nel dubbio
doloroso di aver forse un poco troppo duramente vendi-
cata la morte del padre suo, con l'uccisione di Afràsyàb
del quale egli era nipote. In quella solitudine l'angelo
Seròsh gli rivela la sua vicina morte; ond' egli, resistendo
alle preghiere dei suoi principi e alle rimostranze di Zàl,
si determina ad abdicar la corona in favore di Lohràsp,
discendente di Pishin che era terzo figlio del re Kobàd
(v. il c. IX di quest’ Arzologta), per recarsi verso il
Settentrione e di là salir poi al cielo.

Il racconto che segue, incomincia appunto allorquando
il re Khusrev si accomiata da Lohràsp che l'aveva
accompagnato per un certo tratto di strada.

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Note. — v. 1, il soggetto del verbo è Khusrev. — v. 6, na-nézî
ha forza qui di imperativo proibitivo. — v. 14, il senso è: sii ad ogni
costo fedele alla giustizia (per la frase molto strana, v. il Vocab.


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>> 229 -&

alle voci #îr e p6d). — v. 24, nam, un poco d'acqua. — v. 26, nes-
suno conosceva la via di rimediare a questo dolore. — v. 41, noi
siamo come polvere ai piedi del tuo cavallo (frase iperbolica per dire
che siamo pronti al comando di uno). — v. 44, anzi Seròsh non
venne a consigliare Frèédiin? così verrà anche per te. — v. 48, di/
i mébad-at, il cuor tuo da sapiente. — v. 55, chè presto sarà /emp0
di radunarci insieme (di rivederci in cielo). — v. 84, se pure Seròsh
ha di ciò conoscenza (l'angelo Serésh aveva rivelata a Khusrev la
sua salita al cielo), — v. 87, di-da (l —). — v. 94, non restate
qui nemmeno se dalle nuvole piovesse del muschio. — v. 113,
fariburz guft, Feriburz ripetà, ecc. — v. 124, % gur, anche se, etsi. —
v. 145, allorquando la neve ebbe steso uno strato sulla terra (forse
bisogna leggere Sar zamin). — v. 150, s4arf va accordato con 44. —
v. 152, uscì alfine la dolce anima loro (morirono).

xXx. MORTE DI RUSTEM.

Con la salita di Khusrev al cielo, termina la prima
e più antica e anche la più bella parte della leggenda
epica persiana. I principali eroi sono morti, e di essi
non rimane che Rustem il quale ha ben poco da fare in
tutta la parte che segue della leggenda, anzi, cosa strana,
è guardato di mal occhio dai novelli re dell’ Iran. Ciò
che si racconta dei regni di Lohràsp e di Gushtàsp, che
succedettero a Khusrev, non ha nulla a che fare col
racconto della prima parte, ma tutto si aggira intorno alle
avventure di Gushtàsp nel paese di Rùm, alla venuta di
Zertusht (il profeta Zoroastro, detto nell’ Avesta Zarathus-
tra) e alle avventure di Isfendyàr figlio del re Gushtàsp.
Bisogna quindi ammettere che tra la prima e la seconda
parte della leggenda epica corra un lungo intervallo
di tempo, nel quale dovettero mutarsi profondamente
le idee.

Già lo SpreceL (Eràx. Alterth. I, p. 659 € segg.)
ha fatto notare i punti nei quali questa seconda parte
dell’ epopea di Firdusi discorda dalla prima, anzi è


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> 230 —£

ispirata da idee al tutto opposte. Questi punti sono: 1°,
la nin diretta provenienza del re Lohràsp dagli antichi re:
egli infatti appartiene ad un ramo laterale della famiglia.
discendendo da Pishin, terzo figlio del re Kobàd. —
2°. Nell'antica parte la sede dei re dell’ Iran è la provincia
di Pars, la Persia; nella seconda invece troviamo Lohràsp
che risiede in Balkh, nella parte cioè più orientale del-
l'Iran — 3° Nella prima parte il titolo di eroe def regno
(gihanpahlavan) era proprio della famiglia del Segestàn (v.
l'Introduzione al c. VI dell’ Antologia); nella seconda invece
é dato a Zerir, figlio di Gushtàsp, e poscia ad Isfendyàr. —
4°. La guerra tra Irani e Turani nella prima parte è
cagionata da sparso sangue, per vendicar la morte di
Erag e di Siyavish, siccome abbiamo visto; nella seconda
invece, Gushtàsp fa la guerra ad Argàsp re dei Turani,
perchè questi non vuol riconoscere il profeta Zertusht.
Rustem stesso è qui rappresentato come idolatra, e il re
Gushtàsp ordina appunto al figlio suo Isfendyàr di far
la guerra al grande eroe, perchè egli non vuol ricono-
scere la nuova religione. Ma Isfendyàr soccombe nella
difficile prova e muore ucciso da Rustem. Tutto insomma
. ci induce a credere che quest’ ultima parte dell’ epopea
sia di molto posteriore alla prima, e ispirata dall’ odio
contro la religione di Buddha, che per tempo era entrata
anche nell’ Iran, tanto più che in questa parte i re Turani
si fanno discendere non già da Tùr, come nella prima,
ma bensì si dicono originari del Pèéghù (ol; Aa Pighi
nizhéa); e si sa che il Péghù fu uno ali paesi che
prima degli altri abbracciarono la religione di Buddha
Gakyamuni. Il Segestàn pure, la patria di Rustem, erasi
ben presto convertito al Buddhismo, ed ecco perchè il
grande eroe leggendario di quel paese è qui rappresen-
tato come idolatra e nemico della religione di Zoroastro.

Ma Rustem con la vittoria riportata su di Isfendyàr
ha compiuta la sua carriera di eroe; anch’ egli deve


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> 231 =

morire. Il fratello suo Sheghàd, genero del re del Kabul,
per liberare il suocero dal tributo che egli pagava alla
casa di Zàl e di Rustem, ordisce la sua ultima rovina. Egli
fa in modo che Rustem con poca gente e col fratello
Zevàreh si rechi nel Kabul per accettar le scuse di quel
re, fintamente pentito di aver osato rifiutargli il tributo.
Rustem, ciecamente fidandosi dell’ empio fratello, si lascia
condurre da lui e da quel re alla caccia; ma là egli